18 marzo 2024

Aerosmith, le nove vite di "Nine Lives"

Il 18 marzo del 1997 gli Aerosmith pubblicavano "Nine Lives", l'album che chiudeva gli anni '90 della band, tra alti e bassi

Il 18 marzo 1997 gli Aerosmith pubblicavano "Nine Lives", ultimo colpo di coda da grandi protagonisti degli anni '90.

Se le montagne russe fossero una band, con ogni probabilità sarebbero gli Aerosmith. Una carriera costellata tanto di hit e classici del rock, quanto da crisi stupefacenti, addii, ritorni, fasi di stanca e riprese clamorose.

La rock band di Boston si è trovata spesso in momenti di buio totale dai quali ha quasi sempre saputo riprendersi, come quando Rick Rubin riuscì a farla resuscitare grazie alla collaborazione con i Run-DMC in Walk This Way.

Quello che si rivelò essere un momento epocale per la storia della musica, consentì a Steven Tyler e soci di rimettere la freccia e tornare ad essere una delle rock band più rilevanti del pianeta grazie a dischi come "Pump" e "Get A Grip".



Il successo estenuante degli Aerosmith negli anni '90

Soprattutto il disco pubblicato nel 1993 si rivelò essere un successo incredibile, diventando il disco più venduto degli Aerosmith con più di 20 milioni di copie in tutto il mondo.

Dal successo derivano grandi responsabilità, fatte di tour e un senso di onnipresenza che, a metà degli anni '90, permetteva di trovare gli Aerosmith ovunque, dai film ai videogiochi.

Un periodo estenuante che costrinse la band, finalmente in grado di rispettare un contratto firmato con la Columbia nel 1991 e rimasto in stand-by a causa degli obblighi di release non rispettati con la Geffen, ad un periodo di stop.

Il morale della truppa, era tutto fuorché alto, anzi. A distanza di circa quattro anni da "Get A Grip", la band era completamente spompata ma, forte di un team di collaboratori solido - incluso Glen Ballard reduce dal successo con "Jagged Little Pill" di Alanis Morissette - decise di entrare in studio a Miami nella seconda metà del 1996.

I primi furono, ovviamente, Steven Tyler e Joe Perry che cominciarono la fase di scrittura insieme ad autori come Desmond Child, Mark Hudson, Taylor Rhodes e Marti Frederiksen.

Dall'incontro nacquero le demo di brani come Falling In Love (Is Hard On The Knees), Pink e Tast Of India, serviva che il resto degli Aerosmith aggiungesse il proprio tocco.




Il buco nero di Joey Kramer

Se quello si rivelò essere un periodo difficile per tutta la band, la cosa sembrò essere particolarmente vera per il batterista Joey Kramer che, anche a causa della scomparsa del padre avvenuta poco tempo prima, si ritrovò in un buco nero.

Sembrava evidente a tutti che Kramer non fosse in grado di tornare in formazione, lasciando spazio alle voci di un possibile scioglimento degli Aerosmith che chiamarono l'Heartbreakers Steve Perrone a tenere caldo il posto.

Mentre Kramer venne rispedito a casa per affrontare i suoi traumi, emersi violentemente all'improvviso, le sessioni andavano avanti ma la nuova etichetta non era soddisfatto dal risultato e dalla produzione di Ballard, colpevole di aver ripulito eccessivamente il suono.

Tutto, insomma, sembrava andare storto e mentre cercavano di capire come ritrovare la propria identità, gli Aerosmith licenziarono anche il manager Tim Collins.

Collins, che aveva seguito gli interessi della band negli ultimi anni, era diventato improvvisamente un problema perché, secondo Tyler e Perry, stava cercando di alimentare le tensioni.

Risolto il problema di tipo gestionale, restava da mettere mano a quello più importante legato alla musica. La prima mossa fu licenziare Ballard e assumere come produttore Kevin Shirley, dallo stile diametralmente opposto a quello 'leccato' del collega.


Aerosmith, le nove vite di "Nine Lives"

"Taste Of India" e le nove vite degli Aerosmith.

L'ultimo tassello, per tornare ad essere la forza che aveva dominato gli anni '90, era Kramer. Convinti che il suo tocco fosse necessario per il disco, gli Aerosmith erano disposti anche a ribaltare tutto, cancellare le sessioni di Miami e raggiungere il batterista a casa a, New York, con scarso entusiasmo della Columbia.

Poco prima che la band facesse armi e bagagli, Kramer tornò a farsi vivo: stava meglio ed era pronto a raggiungere gli amici in Florida.

Le perplessità di Tyler e Perry erano corrette e, per quanto Ferrone fosse un grande musicista, c'era qualcosa nel suo stile che rendeva irriconoscibile il marchio Aerosmith. Dopo un tentativo a vuoto di reincidere le sue parti, Kramer rielaborò ex novo tutto quanto fino ad allora, realizzando da capo il disco con la band.




Un tocco speciale venne dato dal musicista indiano Ramesh Mishar che aggiungeva quel 'taste of india' sull'omonimo brano, momento più rappresentativo anche di tutto l'artwork del disco.

Disegnato da Stefan Sagmeister, il progetto grafico di "Nine Lives" è ricco di riferimento alle culture orientali e la prima copertina mostrava la divinità Hindu Krishna con l'aggiunta di seno femminile e testa di gatto.

Il disegno utilizzato come base della cover veniva da un libro del guru indiano Abhay Charanaravinda Bhaktivedanta Swami Prabhupada e il suo utilizzo suscitò indignazione all'interno della comunità Hindu, spingendo l'etichetta a modificare l'immagine con quella più nota del gatto attaccato alla ruota di un lanciatore di coltelli.

Nel voler far riferimento alla fascinazione per l'oriente degli anni '60, verso l'India guardava anche il titolo provvisorio del disco, 'Vindaloo' come la varietà di curry, che venne poi trasformato in "Nine Lives" quelle che, come i gatti, gli Aerosmith avevano mostrato ancora una volta di avere per andare avanti.

"Nine Lives" debutto subito al primo posto nella classifica di Billboard, non riuscendo però a diventare iconico come gli album pubblicati nel recente passato, nonostante ottimi singoli come Pink - che l'anno successivo valse un Grammy nella categoria Best Rock Performance - ed 'Hole In My Soul'. 

Una rivincita gli Aerosmith se la presero poco dopo quando 'I Don't Want To Miss A Thing', brano scritto con Diane Warren, venne inserito all'interno del film blockbuster "Armageddon", regalando a Steven Tyler il primo singolo da numero 1 in carriera e mostrando la forza della band dopo oltre 25 anni di attività.