03 aprile 2024

Perché Pete Townshend degli Who fracassava le chitarre?

Come il chitarrista degli Who, Pete Townshend, ha trasformato fracassare chitarre elettriche sul palco in una forma d'arte.

Nella mitologia del rock, una delle immagini più vivide è quella di Pete Townshend degli Who che distrugge la sua chitarra elettrica sul palco, alla fine di performance memorabili. Ecco la storia di questo gesto estremo e delle tante controverse interpretazioni.

Mandare in pezzi una chitarra elettrica sul palco, schiantarla su un gigantesco amplificatore Marshall o fracassarla su una batteria rimane un gesto che - per quanto esagerato - fa parte del mito e della celebrazione rock più irriverente. Riflettori puntati su  Pete Townshend degli WHO, il chitarrista che - più di Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Matthew Bellamy dei Muse o Paul Stanley dei Kiss - è riuscito a fare del "rompere una chitarra", una forma d’arte; un’istallazione sonora - oltre che visiva - diventata parte integrante dell’immaginario che ha reso gli Who una leggenda.  

Perché Pete Townshend degli Who fracassava le chitarre?

La chitarra spaccata sul soffitto

Solo nel 1967, anno in cui gli Who pubblicano THE WHO SELL OUT, Pete Townshend ha demolito più di 35 chitarre. E da lì non si è più fermato, continuando a distruggere le sue sei corde attraverso tutti gli anni '70, '80, ’90 fino ai primi 2000. Per darvi un’idea; avete presente la Gibson SG? E’ la chitarra elettrica che abbiamo sempre visto al collo di Angus Young degli AC/DC o Robby Krieger dei DOORS. Bene, esiste addirittura una leggenda secondo la quale se le Gibson SG Special del ’68 e del ’69 oggi sono così rare è perché Townshend ne ha distrutto la gran parte durante i tour degli Who alla fine degli anni ’60! La storia di Pete Townshend che spacca le chitarre inizia in maniera assolutamente casuale: la prima volta che succede è un incidente. Ha raccontato Pete Townshend. “E’ successo per puro caso. Avevamo un ingaggio in un club dove ci esibivamo ogni martedì: una sera, suonando, ho colpiva il soffitto e la chitarra sì è spezzata. Sono rimasto sconvolto perché - ovviamente - non volevo che succedesse. A farmi ancora più nervoso, c’era il fatto che sembrava a nessuno del pubblico fregasse nulla della mia sciagura! Si era rotta la chitarra e - almeno - volevo la consolazione che al pubblico sembrasse di aver visto qualcosa di eccezionale. Quindi, ho iniziato a dimenarmi, a lanciare sul palco i pezzi di quella chitarra fracassata; poi ho preso la chitarra di riserva e ho iniziato a suonare come se fosse stato tutto programmato e studiato a tavolino. Quel teatrino improvvisato ha funzionato: il concerto del martedì successivo era pieno di gente incuriosita, entusiasta circa questa cosa delle chitarra distrutta! E’ diventata una leggenda che ha continuato a crescere perché - di città in città nelle quali andavamo a suonare - c’era la fila di gente che aspettava dicendo: "Oh sì: abbiamo sentito che sei quello che ha rotto la chitarra”. La fama di questa cosa sì è allargata al punto tale che, un giorno, si è presentato da noi un giornalista che scriveva su questo quotidiano importante, il Daily Mail; mi disse che se gli avessi garantito di rompere la chitarra al prossimo concerto, sarebbe venuto, avrebbe comperato la foto dell’impresa e raccontato quel gesto matto in prima pagina.

 

Più colla che altro

Così, se la prima chitarra, rotta per sbaglio aveva generato un’attenzione clamorosa, ora, spezzarne deliberatamente un’altra, poteva garantire agli Who un’esposizione da prima pagina. Continua Pete Townshend: “Sono andato a pregare il nostro manager Kit Lambert , chiedergli se potevamo permetterci il costo di una chitarra da distruggere così, solo per farci pubblicità. Lui, a denti stretti acconsenti perché era consapevole che quel sacrificio ci avrebbe dato grande visibilità. Quindi, il concerto successivo ho spaccato la chitarra ma nessun del Daily Mail si è presentato allo show, ha comperato la fotografia e ne ha più voluto sapere della storia da pubblicare. Da quel momento, rompere le chitarre per me è diventata quasi una questione di principio: mi ci son appassionato e non ho più smesso di farlo.” Quel gesto diventa una parte irrinunciabile dello spettacolo degli Who, una cerimonia che - all’inizio - costringe Pete Townshend a vere e proprie magie con i suoi strumenti: “Quando siamo stati a suonare a New York la prima volta, ci esibivamo anche quattro volte al giorno" ricorda Townshend.“Avevo solo una chitarra e quindi - visto che oramai tutti se lo aspettavano - dovevo romperla e aggiustarla, incollandola di nuovo insieme, quattro volte al giorno. Alla fine, in quello strumento, c’era più colla e spago che altro.”


 

Orecchie sanguinanti

La chitarra che Pete Townshend spaccava sul palco, nel clima di fervore culturale di fine anni sessanta, acquista significati che vanno oltre il sensazionalismo del gesto scenografico estremo. Erano gli anni del boom economico, di una società che si faceva sempre più industrializzata; come nel caso delle interpretazioni date allo stesso gesto di Jimi Hendrix, rompere una chitarra rivendicare la centralità dell’uomo all'interno di una società industriale e tecnologica; imporre con la violenza il suo primato sulla macchina. Addirittura, nel caso di Pete Townshend, si scomodavano i suoi trascorsi da studente d’arte. Si diceva che quel gesto di distruzione fosse l’espressione dell’influenza di Gustav Metzger e della sua arte. Metzger - mentore del giovane studente d’arte Pete Townshend - era esponente del movimento "Auto Destructive Art”, corrente sorta in protesta al crescente consumismo, alla proliferazione del capitalismo e la costruzione di armi nucleari. Lontano da queste interessanti ma opinabili interpretazioni, il gesto della chitarra fracassa di Pete Townshend trova la più suggestiva e - a detta nostra - migliore delle spiegazioni nelle parole del cantante degli WHO, Roger Daltrey: “Mi ha sempre frustrato il fatto che quando scrivono degli Who non si vada oltre questa cosa circense di Pete che fracassa una chitarra contro un amplificatore. Perché raccontata così, significa che il gesto non è stato capito. Non era una questione visiva: riguardava il suono che spaccare una chitarra produceva! Quando Pete rompeva una chitarra, a volte ci metteva 10 minuti ed era come sentire le grida di un agnello sacrificale, era un'esperienza sonora incredibile. Il volume ci lasciava con le orecchie sanguinanti! A volte, scendevamo dal palco e il ronzio nelle orecchie non se ne andava per giorni.”