15 novembre 2024

BARK AT THE MOON: riff e synth che hanno cambiato Ozzy e il metal anni ‘80

BARK AT THE MOON: Ozzy Osbourne reinventa il suo sound tra synth anni ’80 e riff iconici, in un album segnato dalla controversia con il guitar hero Jake E. Lee

Il 15 novembre 1983 usciva BARK AT THE MOON, un album che segna una svolta per Ozzy Osbourne. Tra riff potenti e innovazioni synth, questo disco non solo ridefinisce il sound dell’artista verso un pop-metal più accessibile, ma è il teatro di una controversa collaborazione con il chitarrista Jake E. Lee. Un'opera che rappresenta la rinascita di Ozzy e anticipa l’evoluzione del metal anni ’80.

 

BARK AT THE MOON segna una rinascita per Ozzy Osbourne, che cerca di uscire dal periodo oscuro seguito alla tragica scomparsa del chitarrista Randy Rhoads. Rhoads era giovane, brillante e in grado di portare la chitarra rock a nuovi livelli. Se fosse sopravvissuto, forse oggi sarebbe al fianco di icone come Brian May, Tony Iommi e Ritchie Blackmore. Per Ozzy non era solo una questione di tecnica o innovazione: Rhoads rappresentava anche un alter ego artistico, quella complicità che è il cuore di molte grandi band – come Plant e Page, Gillan e Blackmore, Lee Roth e Van Halen. Questa dinamica, che Ozzy aveva dovuto abbandonare lasciando i Black Sabbath, sembrava destinata a rimanere irrecuperabile.

BARK AT THE MOON: riff e synth che hanno cambiato Ozzy e il metal anni ‘80

Un nuovo guitar hero

La situazione è aggravata dal fatto che, in quel periodo storico, la chitarra solista nel rock, hard rock e metal è fondamentale: sono gli anni dell’esplosione della popolarità di Eddie Van Halen e delle innovazioni tecniche che impongono ogni band o artista rock e metal a sfoggiare chitarristi con tecnica da funambolo e forte presenza scenica. Così, trovare un nuovo talento come Jake E. Lee è un vero un colpo di fortuna. Jake riaccende l’entusiasmo di Ozzy, alimentando l’energia creativa che porterà alla nascita di BARK AT THE MOON. Se Rhoads incarnava lo stile neoclassico della chitarra rock – sviluppato da musicisti come Blackmore e Uli Jon Roth, e destinato a influenzare artisti come Yngwie Malmsteen – Jake E. Lee introduce una voce nuova, con forti radici rock blues rivisitate in chiave moderna. Il suo approccio futuristico, arricchito dalle tecniche di Van Halen, combina velocità, un sound distorto ma effettato e groove innovativo, distinguendolo come uno dei più moderni chitarristi del periodo. Tuttavia, pur essendo centrale, la chitarra di Jake non domina completamente l’album: è percepibile che Ozzy non gli concede lo stesso spazio e rilievo che aveva accordato a Randy Rhoads.

 

Le contaminazioni synth pop

Il sound di BARK AT THE MOON vira verso un pop-metal più accessibile, arricchito dall’uso di sintetizzatori e tastiere, suonati magistralmente da Don Airey, ex tastierista dei Rainbow. Questi arrangiamenti rendono il rock di Ozzy più melodico, in linea con l’estetica degli anni ’80, e donano al disco una tonalità emotiva che riflette la malinconia per la perdita di Rhoads. Canzoni come “Spiders” e “Waiting for Darkness” sono esempi perfetti di come Ozzy abbia anticipato la tendenza, diffusa negli anni ’80, di integrare sonorità elettroniche per raggiungere un pubblico più ampio. Questa innovazione sonora aprirà la strada a successi come 1984 dei Van Halen, PYROMANIA (1983) e HYSTERIA (1986) dei Def Leppard, e 1987 degli Whitesnake, che diventeranno riferimenti del pop-metal di quegli anni. L’introduzione di influenze synth pop rimane una scelta controversa: anche se contribuisce al successo commerciale, molti percepiscono questa evoluzione come una deviazione dall’heavy metal classico, di cui Ozzy e i Black Sabbath erano pionieri. Ma nonostante le contaminazioni pop, il brano d’apertura, “Bark at the Moon”, è un tributo alla pura potenza del rock, con un riff tra i più iconici e studiati del metal, che consacra la chitarra di Jake E. Lee.

 

Una collaborazione sfortunata

La collaborazione tra Jake e Ozzy, però, si rivela difficile. Sebbene sia un chitarrista eccezionale, Jake rimane oscurato dalle figure storiche che l’hanno preceduto e seguito: Tony Iommi, Zack Wylde e, soprattutto, Randy Rhoads, restano più presenti nell’immaginario collettivo. La fine del rapporto con Ozzy è segnata anche da tensioni professionali: Jake E. Lee, che ha composto buona parte di “Bark at the Moon”, non riceve i crediti ufficiali, in seguito a un contratto che attribuiva la paternità dei brani solo a Ozzy. Jake firma, senza avvocati, temendo che altrimenti le sue tracce sarebbero state ri-registrate da un altro chitarrista. BARK AT THE MOON è anche il disco che segna l’inizio della collaborazione in studio tra Ozzy e il batterista Tommy Aldridge. Straordinario talento, Aldridge contribuirà all’impatto live della band e proseguirà la sua carriera come uno dei batteristi più riconosciuti del rock, soprattutto per la lunga collaborazione con gli Whitesnake.