10 febbraio 2025

Blur, l'album con cui Damon Albarn e Graham Coxon uccisero il britpop

Nel 1997 i Blur decretarono la morte del Britpop con l'album self titled che - grazie a brani come Song 2 e Beetlebum - abbracciò il sound americano e lo-fi

Il 10 febbraio del 1970 i Blur pubblicavano l'omonimo quinto album che segnò un addio al sound britpop per rivolgersi versi territori americani.

Gli anni '90 nel Regno Unito segnarono l'esplosione del Britpop che, prendendo le redi della scena alternative locale, cercò di rimettere l'isola di sua maestà sulla mappa dopo che gli Stati Uniti erano diventati l'epicentro della musica rock.

Mai nei tempi recenti come nella prima metà degli anni'90, il rock aveva saputo conquistare le vette delle classifiche mondiali in un modo senza compromessi. Il detonatore, inutile dirlo, fu quel 1991 che vide il dominio dei Nirvana ma anche debutti come quello dei Pearl Jam e il punto esclamativo dei Metallica con l'omonimo album, AKA Black Album.

Un rock che - in totale contrapposizione con quanto proposto fino a pochi anni prima - parlava di sofferenza e rabbia e riponeva in un sepolcro sia i sintetizzatori che i racconti edonistici.

La musica è spesso un movimento che oscilla tra azione e reazione e, nello stesso tempo, il Regno Unito venne travolto da una nuova ondata di ottimismo dopo la fine dell'epoca Thatcher.

La Union Jack cominciò ad apparire ovunque, traghettando il Paese in una nuova era fatta di patriottismo e disimpegno che voleva abbracciare scene come quella dei club e dei pub.

Con tutti i dovuti distinguo del caso - una scena può inglobare tutto senza chiedere il permesso - tutti i cavalli di razza della musica britannica vennero compresi sotto il cappello del Britpop che aveva come codice non scritto il rivedere attraverso occhiali patinati e pieni di cigs & alcohol gli antichi fasti del pop rock britannico, tanto nella musica quanto nell'estetica.

I Blur e la necessità di 'uccidere' il Britpop

E nel 1991 anche i Blur pubblicavano il loro primo album, "Leisure", che seguiva ancora forte la scia di quel sound 'baggy' che popolava le classifiche britanniche da ormai fine anni '80 grazie alla prepotenza della scena di Manchester e quel melting pot che aveva come elementi principali droghe, club, working class e rock music.

Lo stesso humus che avrebbe dato vita agli arcinemici Oasis ma che - attraverso la chiave borghese e da art school dei Blur - trovò sfogo completamente diverso.

Seguirono scontri tra band, tabloid, droghe pesanti, insulti che oggi decreterebbero la fine di chiunque, successi, battaglie vinte, guerre perse e un proliferare di band senza soluzione di continuità.

Se Oasis e Blur erano i giganti, intorno gravitavano tanti nomi enormi come Pulp, Suede e Verve, ognuno con la propria tipicità ma anche molto materiale tirato in dentro solo per occupare spazio su una barca che rischiava di affondare da un momento all'altro.

Graham Coxon questo lo aveva capito e sapeva che il rischio di ripetersi e stagnare in un cliché sonoro era alto. Complice ascolti assidui di band come Sonic Youth e Pavement, il chitarrista dei Blur cercò di dirottare il percorso della band e fare ciò che nessuno si sarebbe aspettato dopo un album come "The Great Escape", e cioè guardare agli Stati Uniti e uccidere il Britpop.



Le tensioni tra i Blur

E del resto gli Stati Uniti erano proprio il territorio che i Blur non erano riusciti a conquistare dopo la loro grande scalata al successo, distrutti da "(What's The Story) Morning Glory" degli Oasis.

La 'british invasion' è sempre stato un tema per le band inglesi, dagli anni '60 e visto un po' come il vero mostro finale di carriera, qualcosa che in pochi oltre ai Beatles e agli Stones sono riusciti davvero a sconfiggere.

Ma a casa non andava tutto bene e i rapporti interni ai Blur erano sempre più tesi, vittime di una vita da rock'n'roll star che era sempre sull'orlo di mietere vittime ma che finì solo per allontanare Coxon e Albarn, vera forza creativa della band.

Il chitarrista cominciò a chiudersi sempre più in se stesso e nei suoi demoni, dedicandosi maggiormente all'ascolto di musica lo-fi, pensando che la 'dittatura' di Damon gli impedisse di suonare davvero la musica che amava e che voleva affrontare con la band per sperimentare, sorprendere e sorprendersi.


Blur, l'album con cui Damon Albarn e Graham Coxon uccisero il britpop

Un cambio di rotta

Prima di "Blur", la band aveva raggiunto il successo mainstream con album come Parklife (1994) e The Great Escape (1995), che incarnavano il movimento Britpop. Tuttavia, verso la metà degli anni '90, Damon Albarn e Graham Coxon cercarono un suono più grezzo e meno raffinato. I loro conflitti interni e il desiderio di evoluzione creativa li portarono a sperimentare con la produzione grunge e lo-fi, risultando in un disco che sembrava più personale e introspettivo.

Durante questo periodo le tensioni all'interno della band erano alte. Coxon era sempre più disilluso dalla scena Britpop, ritenendo che la musica precedente della band fosse diventata troppo raffinata e commerciale. È stato particolarmente influenzato da gruppi rock alternativi americani come Sonic Youth e Pavement, spingendo per un approccio più pesante e meno strutturato.

Nel frattempo, Albarn stava affrontando lotte personali, inclusa la dissoluzione della sua relazione a lungo termine con Justine Frischmann degli Elastica, che alimentò ulteriormente il cambiamento di tono e di temi lirici della band.

Il cambiamento nella direzione musicale fu esasperato anche dal declino della popolarità del Britpop, poiché alla fine degli anni '90 il genere stava perdendo terreno a favore di suoni più diversificati.

La realizzazione dell'omonimo album dei Blur

Il processo di scrittura e registrazione dei Blur è stato un allontanamento dall'approccio strutturato che la band aveva adottato in precedenza. A differenza dei loro album precedenti, che erano pesantemente prodotti e rifiniti, i Blur decisero di registrare in modo più spontaneo e sperimentale.

La band cominciò a scrivere nuovo materiale durante il tour, con molte canzoni che hanno preso forma da jam session piuttosto che da canzoni strutturate. Le sessioni di registrazione si sono svolte ai Mayfair Studios di Londra, con il produttore Stephen Street, che aveva già collaborato altre volte con la band. Tuttavia, questa volta l’atmosfera nello studio era diversa: c’era un’aria di tensione, ma anche un rinnovato senso di libertà creativa.

L'influenza di Coxon fu particolarmente forte durante queste sessioni. Ha incoraggiato Albarn e il resto della band ad abbracciare la distorsione, strutture di canzoni non convenzionali e un approccio più innovativo alla produzione. Canzoni come "Beetlebum" e "Song 2" - che nata come 'scimmiottamento' del sound americano finì per diventare un successo oltreoceano - sono il frutto di questa energia grezza e impulsiva, con il lavoro aggressivo della chitarra di Coxon che modella il suono complessivo. La band ha deliberatamente lasciato delle imperfezioni nelle registrazioni, aggiungendosi all’estetica grintosa e lo-fi dell’album.

Nonostante le scoperte creative, il processo di registrazione non è stato privo di sfide. Albarn e Coxon si scontravano spesso sulle direzioni musicali e le tensioni interne alla band spesso portavano a accese discussioni che ,alla fine, hanno contribuito all’intensità emotiva e all’imprevedibilità dell’album.