Usciva nel 1977 "Exodus", nono album in studio della leggenda del reggae Bob Marley con i Wailers, un disco che nasceva da un episodio specifico: il tentativo di omicidio di cui fu vittima Bob Marley solo pochi mesi prima.
Il tentato omicidio di Bob Marley
Era il 3 dicembre 1976 quando, in Giamaica, Bob Marley fu coinvolto in un tentativo di omicidio che fortunatamente non andò a buon fine, due giorni prima di salire sul palco del National Heroes Park di Kingston per suonare una sola canzone allo Smile Jamaica Concert. Uno show che, nonostante Marley avesse sempre evitato di schierarsi politicamente, concetto sottolineato nelle condizioni messe per suonare, assunse connotati politici a causa delle elezioni previste per il 15 dicembre.
L'evento gratuito era stato infatti organizzato dal Ministero della Cultura a soli dieci giorni prima delle elezioni, qualcosa che nella testa del Primo Minsitro Manley poteva essere utile sia a calmare gli animi della cittadinanza sia a garantirgli i voti necessari. Quale propaganda migliore di avere l'eroe locale sul palco?
La presenza di Marley e della sua musica venne quindi vista come una sorta di endorsement ai democratici socialisti del People's National Party del Primo Ministro Michael Manley.

L'aggressione e il movente
Alle 20:30 del 3 dicembre 1976, sette uomini armati fecero irruzione nella casa della leggenda del reggae cercando di assassinare con colpi di arma da fuoco Bob Marley, sua moglie Rita, il manager Don Taylor, l'assistente Louis Griffiths.
Tutti i presenti furono colpiti e tutti, miracolosamente, sopravvissero all'attacco. Il proiettile diretto verso la reggae star passò proprio sotto il cuore per finire la traiettoria nel braccio sinistro, sua moglie fu presa di striscio alla testa, Don Taylor fu raggiunto da cinque proiettili nella parte bassa del corpo.
Ma chi cercò di uccidere Bob Marley? Qualcuno optò per la teoria cospirazionista accusando proprio il PDP di Manley che avrebbe voluto fare di Marley un martire.
La versione più accreditata, però, vede come responsabile dell'attacco il Jamaican Labour Party di Edward Seaga, unico avversario di Manley alle elezioni, che avrebbe tentato di far fuori l'uomo più popolare dell'isola diventato, suo malgrado, supporter mai dichiarato del Primo Ministro.
Se la motivazione politica sembra certa, così come il fatto che le testimonianze di Marley e di alcuni suoi amici puntassero tutte verso il JLP e in particolare verso la guardia del corpo di Seaga, Jim Brown, il mandante potrebbe arrivare da ancora più lontano.
Stando a quanto raccontato da Timoty White nella biografia Catch A Fire, infatti, la mano dell'attentato fu sì quella di JLP e di Brown con i suoi uomini che, però, sarebbero stati assoldati dalla CIA in cambio di droga e armi.
La stessa versione viene data anche dal manager di Marley, Don Taylor, che presente con il musicista al processo e all'esecuzione dei colpevoli, avrebbe sentito uno degli attentatori fare il nome della CIA prima di morire.