Il 30 settembre del 1982 Bruce Springsteen pubblicò "Nebraska", sesto album in studio della sua carriera e disco molto particolare all'interno della sua discografia. Un disco che si posizionava al centro del Boss più elettrico e da stadio riportandolo ad una dimensione acustica e oscura, quasi come se fosse un fantastico incidente di percorso.
L'anomalia di Nebraska
Nel 1982 Bruce Springsteen fece una svolta a U, un po' come Bob Dylan e il suo passaggio all'elettrico ma in un'altra direzione.
Il rocker del New Jersey veniva da un periodo di grazia con album come "Born To Run" e "The River" e di lì a poco avrebbe pubblicato il disco che lo avrebbe consacrato, "Born In The U.S.A." del 1984, un trionfo di luci, stadi ed elettricità rigogliosa in compagnia della E Street Band.
In mezzo, quasi come se fosse un'anomalia, c'era "Nebraska", un disco che qualcuno ha definito 'horror', il disco 'dark' del Boss.
Tra sprazzi vitali, guizzi di gioventù e un'America pronta a rimboccarsi le maniche e lottare armata di chitarra elettrica, in Nebraska Springsteen fece altro e ritornò alle origini, all'acustico, immergendosi voce e chitarra su una strada buia e sinistra.
Un lavoro che richiedeva un trattamento diverso dal solito, tanto è vero che Springsteen registrò inizialmente le demo di Nebraska in casa, su un registratore a 4 piste. Dopo essersi recato in studio con la E Street Band per lavorare alle tracce, si rese conto che la nuova versione avrebbe fatto a pugni con lo spirito personale dei brani.
E' così che per "Nebraska" il Boss pubblico proprio le demo registrate a casa mentre alcune delle canzoni provate con la band in quelle che vengono definite le 'Electric Nebraska Sessions' finirono sul successivo "Born In The U.S.A.", inclusa la titletrack.
Per lo stesso motivo Nebraska fu l'unico album di Springsteen, fino a "Western Stars", a non essere al centro di un tour promozionale.