Il 23 febbraio 1996 debuttava nelle sale del Regno Unito il film destinato a cambiare le sorti del cinema d'oltre Manica: “Trainspotting”. Adattamento sul grande schermo del romanzo omonimo di Irvine Welsh, la pellicola venne presentata al Festival di Cannes del 1996 fuori concorso.
Trainspotting
“Trainspotting” rimane ancora oggi uno dei film che nella storia ha saputo parlare di tossicodipendenza in maniera concreta, provocatoria e realistica. Il regista Danny Boyle dichiarò, infatti, che nonostante il libro da cui prendeva ispirazione fosse stato un vero e proprio shock per le menti ben pensanti dell'epoca, per lui costituì il veicolo per un messaggio duro ma necessario. Sdoganare tematiche che vorticassero attorno al mondo dell'eroina e di tutto ciò che essa comporta significava dipingere una realtà dove, come lui stesso riporta, “ci sarà sempre qualcuno che continuerà a farsi perché le droghe sono in grado di farti sentire al massimo”.

La trama di Trainspotting
Ambientato nella Edimburgo di metà anni 90, “Trainspotting” racconta la vita di Mark Renton (detto Rent boy) e dei suoi amici Spud, Tom, Begbie e Sick Boy. Il gruppo convive con le proprie dipendenze, sia da eroina che da alcol, vivendo un'esistenza piatta, segnata da tentativi di disintossicazione e ricadute. Lo stile di narrazione è caratterizzato dalla volontà di Boyle di non rinunciare ad una forma di poesia che si fonde con un surrealismo pop perfettamente adattabile alla pesante drammaticità del film.
Il monologo di apertura e quello di chiusura di “Trainspotting” sono diventati simbolo dell'intera pellicola e specchio dell'evoluzione del protagonista che focalizza le proprie parole sul concetto di scelta. Choose Life, “Scegliete la vita” è la frase che con sarcasmo Mark condivide con il pubblico, sottolineando la sua volontà di estraniarsi da ciò che la società definisce giusto e doveroso. La decisione di rinascere e di prendere in mano la propria vita, abbracciando così le caratteristiche di un'esistenza normale, verranno esternate con la stessa ironia alla fine del film, mantenendo comunque aperta la volontà di criticare la condizione esistenziale dell'uomo medio britannico di metà anni 90.