George Harrison e il conflitto spirituale di Living In The Material World

Il 30 maggio 1973 l'ex Beatles pubblicava negli Stati Uniti il quarto album "Living In The Material World"

Il 30 maggio del 1973 George Harrison dava alle stampe il suo quarto album, il secondo dallo scioglimento dei Beatles, "Living In The Material World".

Il disco arrivava a ben tre anni di distanza dal successo incredibile di "All Things Must Pass" che permise ad Harrison di essere il primo tra i Fab Four a raggiungere il primo posto in classifica fuori dalla band con il lead single 'My Sweet Lord'.

Nel mezzo c'era stato un progetto che aveva completamente risucchiato il 'quiet one', pur stabilendo un altro primato. Tra il 1971 e il 1972, infatti, George Harrison si concentrò anima e corpo per la realizzazione del Concert For Bangladesh che, per la prima volta, mise sullo stesso palco i più grandi nomi della musica per una causa umanitaria.

A questo si aggiunse un ulteriore stop causato dall'incidente d'auto di cui furono vittima l'ex Beatles e sua moglie Pattie Boyd nel febbraio del 1972.

George Harrison e il complicato periodo prima delle registrazioni

George Harrison è sicuramente stato uno degli artisti che maggiormente hanno affrontato il tema della spiritualità pur vivendo una vita da superstar. Uno scarto che il musicista di Liverpool viveva non senza difficoltà. Come poteva cercare l'interiorità e una sua spiritualità chi viveva completamente nel mondo materiale, chi aveva più del dovuto, chi era privilegiato?

Una situazione che, in qualche modo, non faceva a sentire a proprio agio George Harrison che, proprio, con il Concert For Bangladesh, decise di restituire un po' di quel bene che aveva ricevuto mettendo la sua arte e le sue amicizie al servizio di una giusta causa.

Ecco che nel luglio del 1971 George Harrison organizzò due show di beneficenza al Madison Square Garden di New York per supportare le vittime del genocidio della guerra di liberazione bengalese.

Bob Dylan, Ringo Starr, Eric Clapton, Ravi Shankar erano solo alcuni degli amici che, per la prima volta nella storia, salirono insieme sullo stesso palco per un evento di beneficenza - che diventerà anche un film concerto - e per raccogliere fondi a favore della popolazione del Bangladesh. Per quanto fu relativamente facile coinvolgere i musicisti, ben più complicato fu riuscire a far accettare all'industria discografica la questione legata ai diritti delle canzoni e Harrison trovò frustrante dover lottare per far sì che i soldi raccolti arrivassero, attraverso l'UNICEF, a chi ne aveva davvero bisogno, nonostante una serie di beghe fiscali.

Problemi decisamente materiali che si manifestavano in un periodo particolare per George Harrison che era sempre più addentro al suo percorso spirituale nell'induismo.

Ma questi non erano i soli momenti contradditori nella vita dell'ex Beatles: da una parte c'era l'Harrison spirituale, devoto, completamente immerso nella cultura orientale. Dall'altra c'era la rockstar, con tutti i vizi dell'ambiente e con la passione per le auto veloci.

Proprio questa sua passione per la guida sportiva causò l'incidente che, nel febbraio del 1972, lo portò a schiantarsi con la moglie Pattie nella sua Mercedes dopo aver preso una rotonda a più di 140 km/h.


Le registrazioni dell'album

In questo stato conflittuale tra spirito e corpo, nell'autunno del 1972 George Harrison cominciò a lavorare a "Living in The Material World". Inizialmente l'idea era quella di collaborare nuovamente con Phil Spector ma la sempre maggiore inaffidabilità del produttore lo spinse a fare le cose da solo. Senza contare che i concetti dell'album sarebbero probabilmente passati meglio attraverso un sound più scarno, lontano dal wall of sound di Spector.

Anche dal punto di vista della band, Harrison ridusse il numero di musicisti presenti in sala rispetto ad All Things Must Pass e si circondò di una serie relativamente ristretta di amici: Klas Voormann, Gary Wright, Jim Keltner e Nicky Hopkins, mentre fu lui ad occuparsi di tutte le chitarre.

Registrato in gran parte nello studio casalingo di George Harrison e, parzialmente, agli Apple Studios dei Beatles, "Living In The Material World" fu realizzato in un mood rilassato ed intimo, come frutto di una sessions tra amici.

Un mood che ben si rispecchia nel sound del disco, frutto anche del percorso intrapreso da Harrison che passava le giornate a cantare inni e recitare preghiere, sempre più concentrato sulla sua spiritualità.

Living In The Material World

Il risultato fu un disco tra i migliori di Harrison, seppur forse non al livello di scrittura del precedente All Things Must Pass. Living In The Material World è stato, però, l'espressione più fulgida dell'uomo George Harrison: rilassato ma frustrato allo stesso tempo, uno abituato a vivere sullo sfondo ma continuamente combattuto tra la voglia di essere e quella di apparire.

Un personaggio non sempre a suo agio nel suo tempo ma che cercò di mettere in musica il suo discorso interiore e quello con l'Altro, donandolo all'Universo.

Living In The Material World uscì in America il 30 maggio del 1973, arrivando nel Regno Unito quasi un mese dopo e fu subito un successo. Il disco arrivò al primo posto in classifica negli USA nel giro di due settimane e rimase per cinque settimane in cima alle classifiche vendendo mezzo milione di copie nel giro di due giorni.

Nel Regno Unito l'album arrivò al secondo posto in classifica, frenato ironicamente dalla colonna sonora del film di Ringo Starr 'That'll Be The Day'.

Facendosi carico di tutto il concetto del disco, George decise di donare il copyright di nove delle undici tracce sul disco, oltre alla B-Side Miss O'Dell alla sua Material World Charitable Foundation. La fondazione si occupava di supportare Harrison nelle questioni fiscali che si trovò ad affrontare per consentire di aiutare i rifugiati del Bangladesh ed altre organizzazioni.

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