24 gennaio 2025

John Lydon e i PIL: il coraggio di reinventare il punk

Dai primi esperimenti post-punk di FIRST ISSUE al sound abrasivo di THAT WHAT IS NOT, passando per "Rise" e ALBUM: una guida essenziale ai PIL di John Lydon.

John Lydon è stato il volto e l’espressione più autentica dei Sex Pistols, l’incarnazione di quella rivolta punk che aveva dato voce alla rabbia giovanile e sovvertito le regole del rock. Dopo quella rivoluzione, però, Lydon si è trovato davanti a una scelta cruciale: diventare il simbolo statico di un movimento o evolvere. Evolvere, per Lydon, significava restare fedele allo spirito del punk, mai accontentarsi, mai indossare a vita la divisa da Sex Pistols. Con la nascita dei Public Image Ltd (PIL) nel 1978, ha deciso di reinventarsi completamente. Ha scelto una strada più complessa e meno accessibile, ma che gli avrebbe garantito una libertà artistica senza compromessi. Con i PIL, Lydon ha rotto le gabbie stilistiche del punk e del rock, andando oltre basso, batteria e chitarra distorta per esplorare generi come il pop, l’elettronica, il dub e l’avanguardia.


“Rise”, singolo pubblicato il 26 gennaio 1986 ed estratto da ALBUM, quinto lavoro dei PIL, è molto più di uno dei brani più celebri di Lydon: è un manifesto della sua visione artistica. Con questo pezzo, Lydon accosta la sua ferocia creativa alla cura del suono, all’eleganza e alle superbe abilità tecniche di alcuni tra i migliori musicisti in circolazione. La batteria di Ginger Baker dei Cream, le tastiere di Ryuichi Sakamoto e le chitarre di Steve Vai contribuiscono a creare un suono che sposa sperimentazione e accessibilità, in un’idea di rock profondamente diversa da qualunque altra cosa si ascoltasse in quel periodo.

John Lydon e i PIL: il coraggio di reinventare il punk

PIL, la piattaforma per nuove ambizioni artistiche 

I PIL sono stati il laboratorio creativo di John Lydon, il progetto in cui ha riversato le sue ambizioni più visionarie, riuscendo al tempo stesso a mantenere una coerenza con lo spirito sovversivo dei Sex Pistols. Tuttavia, con i PIL, Lydon ha superato i limiti del punk, usando gli strumenti del rock per esplorare territori sonori più profondi, sperimentali e, spesso, totalmente inediti. Per orientarsi in una discografia che, tra album in studio e live, è decisamente estesa, suggeriamo (oltre al ALBUMtre lavori in particolare che incarnano le diverse fasi del percorso artistico dei PIL:

FIRST ISSUE (1978)


Il disco di debutto dei PIL è un manifesto del nuovo approccio di Lydon al rock: il punk diventa il punto di partenza per esplorazioni sonore stralunate e disordinate, con un piglio rumorista che, nei decenni successivi, ispirerà molte band indie e post-rock. Qui fanno capolino i primi accenni di sperimentazione elettronica, come nella surreale "Fodderstompf", mentre i capolavori dell’album restano “Public Image” (che vanta una splendida cover dei Pearl Jam inclusa nel loro LIVE ON TEN LEGS) e la fragorosa “Annalisa”, che sembra una cover degli Arctic Monkeys vent’anni prima che si formino.

 

METAL BOX (1979)


Con questo disco, Lydon alza ulteriormente l’asticella. Considerato uno dei capolavori assoluti del post-punk, METAL BOX è un’opera audace e sperimentale, con brani come "Albatross" e "Poptones" che sfidano le convenzioni rock grazie a strutture ripetitive e ossessive. L’uso del basso dub e delle sonorità astratte dimostra come i PIL non fossero solo una band, ma una vera e propria dichiarazione di indipendenza creativa. È il manifesto del PIL come entità fluida, capace di reinventarsi continuamente.

 

THAT WHAT IS NOT (1992)


Questo disco rappresenta una delle opere più accessibili dei PIL, con un sound più "radiofonico" rispetto ai lavori precedenti. Profondamente radicato nel rock, THAT WHAT IS NOT sacrifica parte delle influenze dub, elettroniche e sperimentali a favore di un linguaggio che si avvicina all’alternative rock e al crossover degli anni ’90. Tuttavia, non si piega mai al grunge più grezzo dell’epoca, conservando un’identità sonora distinta. L’album è dominato da chitarre abrasive e strutture ritmiche potenti e lineari, quasi funk. Tra i brani più rappresentativi, “Cruel”, che mescola la rabbia di Lydon con un’atmosfera sognante e rarefatta, e “Love Hope”, che esplode con intrecci di chitarre distorte meravigliosi.

 

“Rise” e l’azzardo artistico di John Lydon

Sono pochi a sapere che in "Rise", uno dei classici più conosciuti del rock da classifica degli anni ’80, si cela una delle collaborazioni più sorprendenti della storia del rock: quella che vede John Lydon (che il mondo conosceva ancora soprattutto come Johnny Rotten, volto e portabandiera dell'anima più provocatoria e impegnata dei Sex Pistols) entrare in studio per registrare il suo quinto lavoro ALBUM circondato di una rosa di musicisti stellari, artisti colti e tecnicamente impeccabili, lontanissimi dal suono grezzo e iconoclasta del punk. Tra i protagonisti, spiccano il prodigioso bassista Jonas Hellborg (The Mahavishnu Orchestra), alternatosi nel disco con la batteria di Tony Williams (tra i più influenti musicisti fusion e jazz rock) e con Ginger Baker dei Cream. Le tastiere sono affidate al geniale compositore Ryuichi Sakamoto, membro della Yellow Magic Orchestra e figura chiave della musica elettronica, mentre il violino è suonato da L. Shankar, pioniere della contaminazione tra la musica classica indiana e generi occidentali come rock, pop, jazz ed elettronica. A completare questa formazione incredibile, il nome forse più eclatante: Steve Vai, allora uno dei chitarristi più promettenti e influenti della scena mondiale. Reduce dall’esperienza con Frank Zappa, Vai si stava consolidando come star della chitarra metal grazie agli Alcatrazz, dove aveva preso il posto di un altro fenomeno, Yngwie Malmsteen. Soprattutto nel caso di Steve Vai, l’accostamento con il mondo musicale di Lydon sembra improbabile: un chitarrista celebrato per il suo virtuosismo tecnico e il suo approccio meticoloso, apparentemente distante dall’irrequietezza e dall’anticonformismo dell’ex Sex Pistols. Eppure, il connubio funzionò. Come detto, aver lasciato i Sex Pistols e fondato i PIL, Lydon si era spinto in territori sonori azzardati, mescolando pop, elettronica e dance, fino a collaborare persino con Afrika Bambaataa. Con ALBUM, Lydon abbracciò una visione musicale ancora più ambiziosa e aperta, affidandosi a Bill Laswell per selezionare musicisti che potessero arricchire il disco con tecnica e precisione, senza snaturare la direzione artistica.

 

La visione di Bill Laswell

Lydon decise di non coinvolgere i membri abituali dei PIL, ritenendoli ancora troppo inesperti per affrontare il nuovo materiale. Laswell, produttore e musicista versatile (già al lavoro con Iggy Pop e Herbie Hancock), mise insieme un cast straordinario, portando in studio artisti capaci di valorizzare al meglio la sua visione. Il risultato è un disco che combina perizia strumentale e furore creativo, mantenendo un equilibrio tra l’accessibilità del rock e l’eccentricità di Lydon. La chitarra di Steve Vai, fiore all’occhiello del disco, emerge come uno degli elementi più memorabili. Vai registrò tutte le sue parti in soli due giorni agli Electric Lady Studios di New York, senza aver ascoltato il materiale in anticipo. Lydon rimase folgorato dal lavoro di Vai, che riuscì a tradurre perfettamente le sue idee in musica. Lo stesso Vai ha definito ALBUM uno dei progetti più significativi della sua carriera, raccontando di essere stato affascinato dal metodo di lavoro di Laswell, che lo "catapultò" nelle registrazioni senza alcuna preparazione preliminare. Per un periodo si parlò addirittura di una super band composta da Lydon, Vai, Ginger Baker e Laswell, ma il progetto non andò mai in porto. ALBUM rimane però una testimonianza dell’incontro di mondi musicali lontanissimi, reso possibile dal coraggio visionario di Lydon e dalla sua capacità di reinventarsi continuamente.