Il DNA degli Stereophonics raccontato attraverso Kelly Jones, anima e penna della band. Storia, stile e tre album fondamentali per capirne l’evoluzione rock.
Kelly Jones, nato il 3 giugno 1974, è molto più della voce degli Stereophonics: è la mente narrativa, la mano che scrive e la chitarra che trascina ogni loro racconto. Roca e inconfondibile, la sua voce è però l’identità profonda di una delle band più longeve del rock britannico post-britpop. Mentre l’ultimo singolo della band, "Make It On Your Own", è in rotazione sulla nostra Top 20, ripercorriamo storia, stile e anima degli Stereophonics attraverso la personalità del loro frontman.
Dallo spirito working class dell’esordio fino alla svolta sonora dei 2000, Jones ha guidato gli Stereophonics con coerenza e urgenza espressiva. Una guida all’ascolto in tre album fondamentali completa questo ritratto essenziale, diretto e pieno di chitarra, proprio come la loro musica.
Su Radiofreccia, Kelly Jones ha presentato il nuovo album degli Stereophonics Make 'Em Laugh, Make 'Em Cry, Make 'Em Wait in un’intervista con Gianluigi Riccardo. Da non perdere!
Lo stile
Kelly Jones, frontman e principale autore degli Stereophonics, si distingue per uno stile che fonde due principali influenze: da una parte il britpop anni ’90, da cui eredita la sensibilità melodica e l’impatto compositivo — canzoni asciutte, dirette, costruite su riff, strofa e ritornello, interamente a supporto di linee vocali estremamente cantabili. Tutto è al servizio della melodia, senza spazio per virtuosismi o arrangiamenti autocompiaciuti. I testi occupano un ruolo centrale: raccontano storie di vita quotidiana, esperienze personali, personaggi realistici e marginali. Jones ha una spiccata attitudine narrativa, dovuta anche ai suoi studi di sceneggiatura, che si riflette nella capacità di evocare immagini visive, cinematografiche, in poche frasi. La seconda grande influenza arriva dal rock classico americano degli anni ’70: Eagles, Creedence Clearwater Revival, Bob Dylan, ma anche Free, Van Halen. Da questi mondi la band assorbe l’amore per i suoni pieni, rotondi, analogici. Gli Stereophonics declinano questo retaggio in chiave moderna con una robustezza sonora che, nei momenti più elettrici e aggressivi, può ricordare addirittura i Foo Fighters per coesione, aggressività e potenza di chitarre e batteria. E proprio nei concerti questa matrice emerge con forza, grazie a un impatto chitarristico che ha sempre avuto Kelly Jones come perno centrale. Il suo approccio alla chitarra è diretto, prevalentemente ritmico ed essenziale: pochi fronzoli, riff incisivi, e melodie orecchiabili anche nella parte strumentale. Quando si concede un assolo, è sempre misurato e al servizio del brano. L’effetto che più spesso utilizza è il wah-wah — reso iconico da Hendrix, ma punto fermo per moltissimi solisti da Kirk Hammett a Tom Morello — con cui scolpisce le sue brevi escursioni soliste. Anche la sua strumentazione dice molto del suo ruolo: nella musica degli Stereophonics, tra produzioni e concerti, Jones alterna tantissime chitarre e amplificatori, utilizzandoli come colori di una tavolozza per, ogni volta, aiutano a trovare le sfumature espressive più giuste, mostrando che per lui la chitarra non è un elemento accessorio, ma una voce ulteriore nella narrazione musicale.
