29 dicembre 2024

Lenny Kravitz e "Fly Away": dal cazzeggio al successo planetario

La storia di "Fly Away" di Lenny Kravitz, nata per caso provando un amplificatore e diventata un successo globale grazie a un mix di groove, vintage e modernità

"Fly Away" di Lenny Kravitz non doveva nemmeno finire su 5 (1998), eppure è diventato un successo mondiale. Un riff nato per caso, un mix di vintage e modernità, e un groove irresistibile: la semplicità al servizio del genio. Ecco la storia di uno dei brani più memorabili di Lenny Kravitz.

"Fly Away" di Lenny Kravitz, pubblicata nel 1998 come quarto singolo dell’album 5, è uno dei brani più rappresentativi della sua carriera, premiato con un Grammy nel 1999. Nasce quasi per caso: Kravitz stava cazzeggiando su un amplificatore per capirne il sound, infilando una manciata di accordi banalotti, per di più nemmeno in tonalità, quando viene folgorato dall’ispirazione. Quello che ha sotto le dita è – forse – un grande riff: abbastanza da chiedere al fonico dello studio di piazzare un microfono davanti all’amplificatore, registrare tutto e costruirci attorno un groove di batteria e basso. Inizialmente, quel frammento non doveva nemmeno finire sull’album, ma poi conquista tutti, convincendo Kravitz a metterci una melodia di voce e un testo e inserirlo in 5. Grazie al groove immediato e al mix tra suoni vintage e modernità, quella canzone nata quasi per sbaglio diventò un successo globale.

Lenny Kravitz e "Fly Away": dal cazzeggio al successo planetario
PHOTO CREDIT: Erik Pendzich/Shutterstock / ipa-agency.net / Fotogramma

Una lezione di Songwriting

"Fly Away" di Lenny Kravitz è una lezione su come scrivere una canzone con niente: un loop di batteria ottuso, martellante, sempre identico; quattro accordi sgranati, semplici e distorti, quelli che chiunque suonerebbe così, a caso, durante un soundcheck per capire se il suono della chitarra è ok; un testo fatto di frasi semplici e figurate, e una melodia vocale poco più che mono-nota. Eppure il pezzo è una bomba: questa semplicità lo rende accattivante, come se la prima volta che lo ascolti lo conoscessi già da sempre. Il sound di chitarra, basso e batteria – oggi come allora – è una goduria per ogni appassionato di rock, perché sembra una spremuta dei suoni migliori che puoi trovare in ogni album di Beatles, Hendrix o James Brown. 

Un arrangiamento perfetto

E poi c’è un’attenzione super furba ai dettagli nell’arrangiamento. La dinamica del brano si alterna in modo sapiente: nella prima strofa il riff di chitarra si interrompe, lasciando spazio alla sezione ritmica che accompagna la voce in maniera asciutta e diretta. Nella seconda strofa, invece, basso e chitarra si uniscono all’unisono, creando una trama sonora compatta che dà corpo al groove. Il ritornello esplode con energia controllata, sostenuto da una batteria che non smette di martellare la stessa pulsazione dall’inizio alla fine. Nello special, essenziale e ipnotico, tutto si svuota: basso, batteria e i vocalizzi di Kravitz creano un momento di pura atmosfera che spezza il brano senza alterarne tiro e coerenza. E anche se tutto suona retrò, la precisione, il groove e la pulizia del mix sono modernissimi. Così, in soli tre minuti e mezzo, senza che accada nulla di rivoluzionario sul piano armonico, ritmico o melodico, "Fly Away" ti ipnotizza grazie a una perfetta combinazione di immediatezza, energia e cura dei particolari. Poi, certo, c’è la voce di Lenny Kravitz: un timbro e un’attitudine così uniche da rendere sexy e groovy anche il canto di un coro di oratorio, ricordandoci che certi artisti sfuggono a ogni analisi tecnica, proprio per la loro capacità di dare magia anche alle cose più semplici.


Vintage e modernità

5, l’album da cui è tratto "Fly Away", segna un punto di svolta nella carriera di Lenny Kravitz, non solo per il successo globale del singolo, ma anche per il modo in cui riesce a bilanciare tradizione e innovazione. È il primo disco in cui Kravitz si affida alla tecnologia digitale, registrando con strumenti come ProTools e mescolando questa modernità con il suo amore viscerale per la strumentazione vintage. All’inizio della carriera, Lenny era noto per essere un purista: su LET LOVE RULE (1989), il suo album di debutto, aveva addirittura acquistato il mixer REDD.37, utilizzato dai Beatles per le registrazioni del 1963 e per LET IT BE(1970). Con 5, però, Kravitz trova la quadra tra il passato e il presente, costruendo un ponte tra i suoni iconici degli anni ’60 e ’70, ispirati ai Beatles e Jimi Hendrix, e una produzione più pulita e proiettata verso il futuro. Questo equilibrio diventerà la sua cifra stilistica: il calore e la sporcizia delle chitarre vintage, il fascino delle amplificazioni analogiche e la grana imperfetta dei microfoni d’epoca vengono incorniciati in un suono moderno, preciso e potente. Il risultato è un rock che, pur rimanendo profondamente radicato nelle sue origini, suona contemporaneo e perfettamente coerente con l’epoca, anticipando la rinascita del vintage in chiave digitale che caratterizzerà gli anni 2000.