25 giugno 2025

Michael Jackson: l’anima rock del Re del Pop in 4 canzoni

Quattro brani per riscoprire l’anima rock di Michael Jackson, tra assoli infuocati, riff memorabili e collaborazioni con Van Halen, Lukather, Stevens e Slash.

Scomparso il 25 giugno 2009, Michael Jackson ha costruito un legame profondo con la musica rock, collaborando con chitarristi clamorosi di questa scena musicale come Eddie Van Halen, Steve Lukather, Steve Stevens e Slash, che hanno dato suono, stile e attitudine ad alcuni dei suoi brani più potenti.

Questa guida all’ascolto racconta il lato più elettrico e viscerale del Re del Pop: quattro canzoni in cui la chitarra esplode tra riff, assolo e arrangiamenti d’impatto, dimostrando quanto il rock sia stato una componente tutt'altro che marginale nel suo universo musicale.


Michael Jackson: l’anima rock del Re del Pop in 4 canzoni

Attitudine rock

Michael Jackson è stato molto più di un fenomeno pop. Artista visionario, performer totale, ha saputo includere nel suo linguaggio elementi funk, soul, elettronici e… rock! Più che un’influenza, il rock per lui è stato un’attitudine: una scelta sonora e di presenza scenica, un approccio diretto e incisivo anche nel songwriting. Pur dentro arrangiamenti opulenti e ultra-prodotti, Jackson ha sempre mirato all’essenzialità: mai una nota fuori posto, mai un virtuosismo gratuito, ma solo ciò che serviva per rendere ogni pezzo potente e funzionale. Fin dagli anni ’80 ha voluto contaminare il suo sound con l’energia vibrante della chitarra elettrica, chiamando a raccolta tre tra le figure più rappresentative dello strumento in quel decennio: Eddie Van Halen, simbolo della chitarra virtuosa e metal; Steve Lukather, anima del rock mainstream targato Toto; e Steve Stevens, alter ego di Billy Idol e volto di un rock più cangiante, contaminato da punk, new wave e synth pop. Il sodalizio tra Jackson e la chitarra ha portato riff, assoli vertiginosi e distorsioni infuocate in testa alle classifiche, dimostrando quanto quel linguaggio rock fosse già parte del mainstream... e quanto lui stesso ne abbia contribuito a consolidarne la popolarità. Ma quel presidio rock Jackson ha voluto difenderlo anche dal vivo, affidando a ogni tour la presenza scenica di un chitarrista spettacolare, con look iconico e ampio spazio sul palco. La più emblematica di tutte è stata Jennifer Batten, chitarrista donna proveniente dalla musica strumentale, all’epoca tra le voci più originali della scena shred e fusion. Con la sua chioma biondo platino e una tecnica travolgente, è diventata una figura  nello show di Michael Jackson, incarnandone lo spirito elettrico.


“Beat It” – THRILLER, 1982

“Beat It” è la dimostrazione definitiva di quanto il linguaggio chitarristico più virtuosistico, energico e metal-oriented fosse ormai diventato, nei primi anni ottanta, una componente viva del mainstream. Se il Re del Pop in persona decide di includere un assolo furibondo di chitarra metal, nel proprio album più iconico, Thriller, significa che quel tipo di sonorità non era più una nicchia, ma un linguaggio globale. Quincy Jones, produttore geniale, ha l’intuizione perfetta: su suggerimento del chitarrista dei Toto, Steve Lukather, convoca Eddie Van Halen, il volto della chitarra più rivoluzionaria del decennio. L’apporto di Eddie è leggendario: arriva in studio, ascolta il brano e in meno di due ore registra un assolo sconvolgente e modifica spontaneamente la struttura del pezzo, cambiando alcuni passaggi per creare maggiore tensione e impatto. Lo fa con entusiasmo e leggerezza, senza preoccuparsi di crediti o royalties. A posteriori, una follia: Thriller diventerà uno degli album più venduti della storia! Eppure, Eddie Van Halen lo racconta con autoironia, ricordando anche un aneddoto illuminante: in un negozio di dischi, sente un gruppo di ragazzini commentare “Questo chitarrista imita Eddie Van Halen!” e lui, sorridendo, risponde “No ragazzi, sono io”. Ma a dare struttura e identità rock al pezzo è soprattutto Steve Lukather, chitarrista dei Toto, uno dei session man più rispettati al mondo. È lui a registrare la ritmica, il riff e a costruire il groove portante della canzone. Lukather riesce a fondere la precisione del pop con la spinta del rock radiofonico, creando un tappeto ideale su cui l’assolo di Eddie scatena la sua eruzione solistica. Con “Beat It”, Jackson fa esplodere la chitarra metal nei circuiti pop.


“Dirty Diana” – BAD, 1987

Su “Dirty Diana” a guidare il pezzo c’è la chitarra eccentrica di Steve Stevens, allora uno dei chitarristi più in voga del momento, reduce dal successo clamoroso con Billy Idol. Stevens era riuscito in un’impresa non da poco: armonizzare in un linguaggio accessibile e radiofonico le impennate più spettacolari e aggressive della chitarra punk, metal e new wave. Un chitarrismo spettacolare ma sempre incastonato in modo perfetto negli arrangiamenti, come dimostra in uno dei capolavori assoluti della chitarra rock anni ’80: "Rebel Yell". In “Dirty Diana” Stevens cerca – e in parte riesce – a ricreare quella stessa magia: riff distorti, precisi, grondanti groove, intervallati a fraseggi nervosi, quasi isterici e un assolo  drammatico che accompagna il crescendo del brano. Il tutto si incastra nel tessuto iper-prodotto ma notturno del pezzo, dove Jackson canta la tentazione con un tono teatrale, sofferto. A testimoniare quanto allora Steve Stevens fosse accreditato, basta ricordare che quando David Lee Roth lasciò i Van Halen, il primo chitarrista che contattò per il proprio progetto solista fu proprio Steve Stevens. Il ruolo poi andò a Steve Vai, ma quel primo pensiero testimonia la popolarità e il rispetto di cui Stevens godeva nel panorama rock dell’epoca e che, probabilmente, contribuirono a questa convocazione.


“Give In To Me” – DANGEROUS, 1991

Tra i brani più rock della discografia di Michael Jackson, c'è “Give In to Me”, una ballata carica di tensione, desiderio e rabbia. La chitarra è quella di Slash dei Guns N’ Roses, chiamato da Jackson per dare al pezzo una fisionomia cruda, quasi sporca, che lo allontana dalle patinature pop. Il brano, infatti, sembra uscito da Use Your Illusion, doppio album dei Guns allora in cima al mondo, più che da Dangerous. Qui, infatti, la grandezza di Jackson: la capacità di leggere lo spirito del tempo. All’alba degli anni ’90, il rock si è fatto più ruvido, tinto di blues, pronto a trasformarsi nel del grunge. Jackson, sensibile all’evoluzione dei linguaggi musicali, cerca un suono meno tecnologico, più viscerale. E nessuno, in quel momento, incarna meglio questo ritorno a un chitarrismo istintivo, sincero, ma comunque tecnico quanto Slash. Il sodalizio con Slash non si esaurisce qui: i due torneranno a collaborare nel 1995 in “D.S.”, brano incluso in HIStory – Past, Present and Future, Book I. Anche lì, Slash costruisce un riff ruvido e teso, quasi industriale, su cui Jackson si esprime rabbioso. “D.S.” rappresenta un altro tassello rilevante nella ricerca di Jackson di un’espressività rock autentica.


“Black or White” – DANGEROUS, 1991

È uno dei manifesti artistici e politici di Michael Jackson: un inno all’inclusività, all’uguaglianza, al superamento di ogni barriera culturale. Ma "Black or White" è anche una canzone trainata da un riff di chitarra potente e incisivo, suonato dal co-produttore Bill Bottrell, che richiama il rock FM californiano degli anni ’80. Anche senza un nome da copertina, il ruolo della chitarra è centrale: è l’elemento che apre il pezzo, lo ancora al rock e gli conferisce una spinta diretta, contagiosa, immediata. Il brano è una vera ibridazione di generi – rock, pop, hip-hop, world music – ma la chitarra resta protagonista, persino nel videoclip: il mitico Macaulay Culkin impugna una chitarra elettrica e la suona a tutto volume, sparando letteralmente il padre fuori casa. Un’esplosione sonora e visiva che sembra citare lo spirito della scena iniziale di Ritorno al Futuro, con Marty McFly al massimo volume.