07 luglio 2025

Oasis, Black Sabbath, Fontaines D.C. e Il ritorno del rock tra la gente

In un weekend irripetibile, tre show diversi e importanti con Oasis, Black Sabbath e Fontaines D.C. che segnano l'abbraccio alla gente

Il weekend del 4 e 5 luglio 2025 non è stato un semplice fine settimana di concerti. In tre città del Regno Unito, in tre contesti diversissimi tra loro, la musica ha fatto quello che sa fare nei suoi momenti migliori: ha unito, ha guarito, ha rappresentato.

Cardiff, Birmingham, Londra. Oasis, Black Sabbath e Fontaines D.C. : tre palchi, tre visioni, una sola verità, quella che vede sempre la gente al centro, nonostante controversie e polemiche.

Che si tratti di comunità e senso di appartenenza, di mostrare le proprie fragilità e superare le avversità come esempio o alzare la propria voce per chi resta inascoltato, il popolo è la gente sono stati al centro dei tre momenti musicali più importanti del weekend.

Power to the people

Dopo 16 anni da quel burrascoso ultimo capitolo nel backstage del Rock En Seine, Liam e Noel Gallagher sono tornati insieme, uniti, davanti alla loro gente.

"All my people right here right now" cantano gli Oasis in 'D'you know what I mean' ed è questo ciò che ha reso gli Oasis - al di là di gusti - una delle ultime grandi rock band generazionali: essere una band del popolo, per il popolo, con il potere di unire migliaia di voci in una sola come solo i grandi sanno fare.

Con buona pace delle polemiche più che legittime sulla disastrosa gestione ticketing che alla band si può attribuire fino ad un certo punto e che andrebbe rivista a livello globale.

Gli Oasis sono una band che si è creata da sola - 'homo faber fortunae suae' - irrompendo dal basso in modo burrascoso nella storia e che al Principality Stadium di Cardiff ha saputo unire, ancora una volta come se non fosse passato un battito di ciglia da quell'agosto del 2009, tutta la sua gente in un urlo liberatorio.

E dal basso erano partiti anche quattro ragazzi di Aston, zona operaia dell'operaia Birmingham che nel dopoguerra sfidarono tutto e tutti per gettare le fondamenta di tutta la musica heavy a venire.

Ed è lì, nello stadio dell'amato Aston Villa, che i Black Sabbath e Ozzy Osbourne hanno dato l'addio alle scene in una giornata che passerà agli annali.




Una risultato arrivato con tenacia e che ha proseguito la storia fatta tanto di eccessi quanto di soluzioni esterne per portare la musica che si ama ovunque, come quelle protesi nata dai tappi del detersivo a supportare le dita incidentate di Tony Iommi che cambiarono il suono della chitarra elettrica.

I padrini del metal erano proprio lì, a casa, davanti alla loro gente e davanti a una serie incredibile di artisti enormi, tutti riuniti ad omaggiare gli eroi che hanno trasformato la loro vita indicando una nuova strada possibile.

A pochi Km di distanza, in un cortocircuito che vede proprio un tassello fondamentale del carrozzone Sabbath a far loro da opposizione - la moglie e manager di Ozzy Sharon Osbourne - i Fontaines D.C. venivano accompagnati dai fratelli nordirlandesi Kneecap e un manipolo di altri, validissimi artisti, nel loro show più grande di sempre al Finsbury Park di Londra.

L'evento, di minore impatto storico dei precedenti, ha comunque dato ad una delle band più importanti di questa generazione il palcoscenico più importante dove mettere in mostra un altro tipo di rapporto con la gente.

Il pubblico, sì, ma anche l'impegno sociale e i riflettori sulla questione palestinese che per la formazione di Grian Chatten, così come i Kneecap nell'occhio del ciclone o altri rappresentanti dell'isola verde, pur assenti all'appello come The Murder Capital, è di importanza vitale.

Tre palchi, tre punti di vista, una sola verità: la musica è sempre più potente quando unisce la gente.



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Cardiff – Gli Oasis e il ritorno dell’abbraccio

Venerdì 4 luglio, a Cardiff, è successo quello che sembrava impossibile. Gli Oasis sono tornati insieme per l'attesissimo tour della reunion.

A sedici anni dall’ultima volta, Noel e Liam Gallagher hanno condiviso lo stesso palco, lo stesso pubblico, le stesse canzoni. E, forse, lo stesso perdono.

Non è solo nostalgia, non è solo Britpop. È qualcosa di più profondo.

Gli Oasis, al netto del caos biglietti, del marketing da stadio e dei prezzi fuori portata, hanno fatto quello che gli riesce da sempre meglio: creare comunità.

Le loro canzoni sono diventate inni generazionali, colonna sonora di vite diverse, ma tutte accomunate da un senso di appartenenza che va oltre la musica.

Sul prato gallese c’erano madri, figli, tifosi, precari, professionisti. Tutti lì a cantare Don’t Look Back in Anger, Live Forever, Wonderwall e la quantità impressionante di hit stipate in line up con le lacrime agli occhi e il sorriso nel cuore.

Tutti sotto la stessa bandiera, quella partita da un abbraccio mai più sperato e poi spiegata in una serata di cura collettiva.

In un momento storico segnato da tensioni, guerre, solitudini, la band di Manchester è tornata a fare ciò che sa fare meglio, regalare cori che non hanno la pretesa di rivelare o salvare il mondo ma semplicemente di cristallizzare ad altissimo volume, notte dopo notte, un momento che sarà per tutti gioia condivisa e rilievo dal quotidiano.



Oasis, Black Sabbath, Fontaines D.C. e Il ritorno del rock tra la gente
PHOTO CREDIT: Ross Halfin x Back To The Beginning

Birmingham – I Sabbath e la chiusura del cerchio

Il giorno dopo, a Birmingham, un altro momento storico. Ma questa volta, il tono è diverso: non un ritorno, bensì un addio.

I Black Sabbath, i padri fondatori del metal, hanno salutato il loro pubblico con un concerto monumentale al Villa Park, nel quartiere dove sono nati, nello stadio della loro squadra.

Back to the beginning, un ritorno alle origini come dice il nome dello show.

Ozzy Osbourne, fragile e immortale, è salito sul palco come un sopravvissuto e un eroe, seduto sul trono che gli spetta.

Non piu Principe delle Tenebre ma Re per sempre.

Accanto a lui, Tony Iommi, l’uomo dai riff eterni e dalle dita spezzate, Geezer Butler e Bill Ward, il batterista storico che chiude il cerchio della prima e più amata versione della band, assente al precedente show di addio del 2017.

Una famiglia che si ricompone, una scena che si inginocchia attraverso la presenza di nomi da far tremare i polsi, tutti ad omaggiare i padri della musica heavy.



Sul palco, una lineup incredibile: band che hanno dichiarato senza mezzi termini di esistere grazie ai Sabbath, di aver trovato forza, rifugio e ispirazione nella loro musica: dai Metallica ai Guns a Pantera, Slayer, Anthrax, Tool, ma anche nomi come Tom Morello, Billy Corgan, Steven Tyler e i rappresentanti degli ultimi decenni come Halestorm, Gojira e un sorprendente Yungblud.

Perché i Sabbath sono una band del popolo. Nati nella polvere della working class di Birmingham, si sono sporcati le mani, hanno lottato, hanno trasformato l’oscurità in energia. E Ozzy, nonostante gli eccessi, gli scandali e i meme, è sempre rimasto una rockstar accessibile, strana ma vera, pazza ma umana. Per questo, così amata.

Certo, anche qui non mancheranno le polemiche, dai ticket virtuali di oltre 30 euro per assistere allo show in diretta streaming al sempre controverso ruolo di Sharon, moglie e manager che ha sì salvato Ozzy ma lo ha storicamente traghettato, a volte più del dovuto, in una landa fatta di marketing e imprenditoria.

E sempre Sharon Osbourne fornisce un gancio discutibile alla terza band protagonista del weekend, i Fontaines D.C. che, nello stesso giorno, salivano sul palco di Finsbury Park, Londra, per il concerto più grande della loro carriera.


Fontaines D.C., Kneecap e il rock che prende posizione

Sharon, figura centrale nell’universo Sabbath, è stata infatti tra le voci più rumorose nel contestare i Kneecap dopo le uscite pro-Palestina al Coachella, accusandoli di antisemitismo e invitando al boicottaggio.

La formazione di Mo Chara, attualmente a processo per terrorismo (sic!) e protagonista di un incendiario set a Glastonbury pochi giorni prima, è infatti stato il piatto forte dei già validissimi supporter dei Fontaines D.C. (con Amyl&The Sniffers, Been Stellar, Blondshell e Cardinals).

A Finsbury Park, Londra, dove proprio in questi giorni nel 2002 gli Oasis tennero un grande live, mentre il popolo del metal abbracciava Ozzy e i Sabbath, I Fontaines D.C. hanno ricevuto la consacrazione come la band recente che, senza alcun passo falso o battuta di arresto, ha saputo portare dall'underground al mainstream uno dei progetti più credibili della scena alternative.

Ma seppure, come scritto da Amy Taylor di Amyl & The Sniffers è bello vedere una band di questa generazione radunare oltre 45.000 spettatori, il concerto più grande della carriera dei Fontaines D.C. ha un tono meno celebrativo, perché è nella natura di Grian Chatten e compagni.

Poco incentrati su loro stessi e dal carattere schivo, nonostante un lavoro di immagine evidente dopo il passaggio ad XL, i Fontaines lasciano parlare la musica e si concentrano sugli altri.

Gli irlandesi hanno nel proprio DNA e nella propria storia il concetto di identità, di territorio, il ricordo degli scontri, il sapore dell'emarginazione, la causa sociale come base di un racconto e i Fontaines sono oggi una delle poche band capaci di parlare con lucidità e sensibilità del presente.

E non si tirano certo indietro nel farlo, esattamente come i Kneecap o The Murder Capital, pur non presenti allo show, tutti molto sensibili ai temi di attualità e sempre aperti a prendere posizione sulla crisi umanitaria a Gaza.

E allora eccola la gente dei Fontaines, che fanno il giro completo dalla comunità disimpegnata della gente degli Oasis all'altro versante dello spettro con un messaggio che resta paradossalmente identico e che parla di unità.

Il palco è megafono per il popolo che voce non ha, incuranti chi li accusa di oltrepassare i confini della musica.

Un palco sempre più grande per raccontare alla gente, al proprio popolo, della gente che diritto di essere sembra non averne e di quanto serva, più che mai, stare dalla parte delle parole che contano.