24 maggio 2024

Perché ci piacciono gli AC/DC?

Gli AC/DC sono una leggenda vivente del rock. Una certezza, da sempre. Ci siamo chiesti perché ci piacciono così tanto. Perché gli vogliamo così bene.

Una piccola retrospettiva su una band immensa, gli AC/DC. Per provare a capire la ricetta di una formula rock perfetta, impermeabile a mode e tendenze, che garantisce da sempre grande musica, energia e divertimento,

Gli AC/DC sono diventati una leggenda, una parte imprescindibile del mito del rock perché ne hanno rappresentato una custodia di suono e attitudine. Un’oasi protetta dove, mentre le mode vanno e vengono, c’è la garanzia di potersi rifugiare sempre in una proposta artistica e musicale che rimane la quinta essenza di alcuni dei tratti più accoglienti del rock: un groove di batteria roboante e dritto come un treno; melodie vocali con radici che affondano nel blues; ma soprattutto, il suono dei fratelli Angus e Malcom Young, due chitarre elettriche indiavolate che ne combinano di tutti i colori. 

Perché ci piacciono gli AC/DC?
PHOTO CREDIT: Fotogramma

Parola d'ordine: semplicità

Questa ricetta, acquista un valore davvero speciale se si considera quando gli AC/DC esplodono sulla scena musicale. Tra il debutto internazionale con HIGH VOLTAGE (1976) e la consacrazione di BACK IN BLACK (1980), gli AC/DC si affacciano nel rock in uno dei suoi momenti più turbolenti. Da una parte il punk e la new wave disarmano tutti i virtuosi del progressive, dell’hard rock e del glam: band la cui musica - sicuramente sublime a livello tecnico e sonoro - inizia ad arrivare alle orecchie delle nuove generazioni troppo complessa, difficile da suonare e lontana dalle possibilità ed esigenze concrete di chi l’ascolta. Dall’altra, negli stessi anni anni, il debutto dei Van Halen esaspera l’eccitazione per la nuova corrente Heavy Metal che sta per divampare. Una scena in cui la chitarra elettrica diventa la protagonista indiscussa e i chitarristi sono i nuovi eroi - a metà tra Rambo e Paganini - che tutti seguono, amano, studiano perché di chitarre, assolo, distorsione e acrobazie sulla sei corde non c’è ne mai abbastanza, nel rock più pesante di quegli anni. Bene, gli AC/DC si collocano esattamente in mezzo a queste due tendenze, tendenze che a ben guardare, sono anche abbastanza in contraddizione. E così, loro invece accontentano tutti; perché dal punk, dalla new wave, gli AC/DC prendono la semplicità e l’essenzialità della forma e  struttura delle canzoni: non c’è traccia di brani a mo’ di suite classiche, composizioni a cui band come Genesis, Queen o Pink Floyd avevano abituato il pubblico. Con un riff di chitarra cazzuto nel intro, un paio di strofe, due ritornelli e un buon assolo sul finale, nelle canzoni degli AC/DC c’è tutto quello che serve dire. E poi, questa semplicità sbarazzina gli AC/DC la ostentano anche nel look. Da David Bowie ai Led Zeppelin, le rockstar erano diventate titani, icone di stile, eleganza, presenza: semi divinità bellissime e maledette. Gli AC/DC erano quattro giovinastri vestiti come il tizio che nel pomeriggio ti viene a fare manutenzione alla caldaia. Soggetti con cui pagheresti per andare a far sbronza al pub ma, al contempo, le ultime persone al mondo con cui vorresti sapere che esce tua sorella. Se ti piace il rock, quattro ceffi così li senti amici anche senza conoscerli.



Esagerazioni & Divertimento

Anche riguardo la moda, la mania per la chitarra elettrica esplosa con l’omonimo debutto VAN HALEN del 1978, gli AC/DC erano perfettamente sul pezzo; le loro canzoni sono il suono della chitarra elettrica, un parco giochi in cui le due chitarre dei fratelli Angus e Malcolm impazzavano ma - senza lesinare energia, assolo, riff - restavano comunque accessibili, comprensibili e veraci. In poche parole, mettevano in bella copia quanto di meglio Rolling Stones o Aerosmith avevano fatto, rendendolo senz’altro più sfrontato e aggressivo. Ma erano tutte cose che con qualche lezione di blues, un amplificatore valvolare, una chitarra elettrica e tanto olio di gomito, chiunque poteva suonare. Una cosa corroborante per chi ha voglia di suonare, perché invece il chitarrismo heavy metal, post Van Halen, oramai era diventato quasi una disciplina olimpica, materiale esclusivo per solisti da conservatorio e nerd. Insomma, di quel tumulto che aveva squassato il rock alla fine degli anni ’70, gli AC/DC avevano assorbito le scosse migliori, restando però autenticamente rock’n’roll: rassicurandoti ad ogni ascolto che tutto è in ordine, al suo posto, che loro non ti avrebbero mai tradito. Una promessa che gli AC/DC mantengono soprattutto dal vivo, dove ogni volta celebrano lo spirito più genuino del rock, quello dove il divertimento, l’esagerazione sono un imperativo. In concerto gli AC/DC sono una delle band più spettacolari della storia: sul palco ci sono palle da demolizione in movimento, cannoni che sparano cascate di dollari, campane enormi che suonano a morto; il tutto tra un tripudio di svisate di chitarra, effetti scenici di ogni sorta e il sottofondo di una selva di successi, classici che oramai sono inni del Rock.


 

Angus, la presa in giro ai Guitar Hero

Naturalmente, il simbolo degli AC/DC, spesso ritratto sulle copertine dei loro album, è il chitarrista solista Angus Young. Un Guitar Hero che schernisce gli stereotipi di questa figura: Angus, anziché ingigantire i tratti da macho - tendenza allora diffusa - li minimizza se non demolisce; da sempre, sale sul palco vestito in divisa da scolaretto, con berretto sulle ventitré, braghe corte, calzini arrotolati e sguardo poco rassicurante; un look buffo che le movenze da furetto sotto anfetamina rendono irresistibile. Ma che, al contempo, talento, classe e abilità musicale e chitarristica da fuoriclasse, hanno sempre impedito diventassero qualcosa di sciocco o banalmente demenziale. Stilisticamente, Angus Young è un chitarrista blues nel vocabolario ma dannatamente rock nella pronuncia. In più interviste, Angus ha dichiarato: “Tutto si basa sul ritmo e sul blues, due elementi chiave delle nostre canzoni.” Tanto che - benché Angus sia ricordato e apprezzato come un solista capace di bruciare letteralmente le scale blues con ferocia, nervo e buon gusto - l’aspetto musicale  al quale lui appare più legato è quello del ritmo, della chitarra ritmica che macina riff. “Con un buon riff puoi scrivere qualcosa di speciale, che colpisce e rimane impresso. Un riff di chitarra è come un ponte che ti porta lontano, fino dove non puoi immaginare. E ci vogliono ritmo e rabbia, un concentrato di energia e tiro.”