Pete Townshend: Hendrix un incantatore, non un inventore
Una retrospettiva su Pete Townshend: dalla potenza ritmica al feedback, fino al confronto con Hendrix e il primato delle chitarre fracassate sul palco
Una retrospettiva su Pete Townshend, leggenda con gli Who e chitarrista rock tra i più rilevanti e innovativi della storia, raccontata attraverso le tante dichiarazioni rilasciate in decenni di carriera. Un identikit autobiografico in cui Townshend evidenzia gli elementi più originali del suo approccio al rock e alla chitarra.
Pete Townshend non è mai stato uno da seguire la massa. Tra chitarre fracassate sul palco e concept album rivoluzionari, il chitarrista degli Who ha sempre spinto i confini del rock fuori dai cliché. Prova ne sia il fatto che è stato il primo a diventare un Guitar Hero senza essere il classico solista che macinava scale blues o virtuosismi di ispirazione classica, incendiando la tastiera con acrobazie sonore da brivido come Hendrix, Clapton, Beck e, successivamente, Van Halen, Malmsteen o Randy Rhoads. L’approccio di Townshend era invece basato sulla potenza della sua chitarra ritmica: riff, accordi e ritmiche suonate in modo poderoso, orchestrale e trascinante. Il paradigma di un chitarrismo concreto, solido, spartano, che avrebbe poi trovato terreno fertile in generi come il punk, il grunge e l’alternative rock, con discepoli come Steve Jones (Sex Pistols), Kurt Cobain (Nirvana), Dave Grohl (Foo Fighters), Jack White (White Stripes) o Tom Morello (Rage Against the Machine).

Feedback: da errore tecnico a linguaggio di ribellione
All'inizio degli anni ’60, il feedback degli amplificatori era ancora considerato un difetto, un errore tecnico da evitare a tutti i costi. Pete Townshend, però, è stato il primo a sdoganarlo, trasformandolo in un colore sonoro affascinante e imprescindibile nell’estetica del rock. Il suo approccio alla chitarra, meno formale e tecnico rispetto a quello dei grandi solisti rock e blues che dominavano la scena, si concentrava sull’esplorazione delle possibilità sonore del rock, traendone emozioni, registri e sfumature nuove e impattanti. "Su Anyway, Anyhow, Anywhere, durante l’assolo, facevo in modo che il feedback si intrecciasse con la melodia che suonavo, sfruttando anche la risonanza naturale del corpo della mia chitarra Rickenbacker. Era un suono quasi orchestrale, controllato e armonico” racconta Townshend. Per Townshend, il feedback non era solo un effetto speciale. Sapeva usarlo come elemento cacofonico e disturbante, perfetto per un’epoca in cui il rock rappresentava rottura e ricerca dell’eccesso. La sua sensibilità artistica, maturata all’accademia di belle arti, lo portava a sperimentare soluzioni non ortodosse, spingendosi oltre i limiti convenzionali. “Ero un piccolo presuntuoso dell’arte e stavo sperimentando sul serio” ricorda. “All’accademia ero circondato da intellettuali veri, persone che sperimentavano di continuo. Mi sentivo ispirato e volevo piacere a questi tipi.” Diversii hanno influenzato il suo uso del feedback: il volume assordante delle esibizioni live, pensato anche per impressionare i suoi compagni dell’accademia; la voglia di reagire a un pubblico spesso ostile; e una competizione interna con il bassista John Entwistle su chi avesse più volume sul palco, gara che portò a una vera escalation sonora. Il feedback diventava così una forma di sfida: alla band, al pubblico e alle regole stesse della musica. “Il nostro sperimentare con il feedback dipendeva spesso dall’irritazione verso il pubblico” racconta Townshend. “Se suonavamo un pezzo di rhythm and blues poco conosciuto, dal fondo della sala arrivavano urla: ‘Ma cos’è questa schifezza?’ E noi ci limitavamo a diventare ancora più rumorosi.” Quell’arroganza sonora conquistò il pubblico e consacrò gli Who come la band più rumorosa del rock, un’etichetta che li portò a dominare gli stadi degli anni ’70 e ’80. Per Townshend, il feedback non era un caso, ma il risultato di una sperimentazione audace. “Sperimentare in modo radicale vale sempre la pena,” afferma Townshend. “Anche se può sembrare stupido o pretenzioso, se scopri qualcosa di nuovo, diventa tuo per sempre. Sperimentare in modo radicale vale sempre la pena” afferma Townshend. “Anche se può sembrare stupido o pretenzioso, se scopri qualcosa di nuovo, diventa tuo per sempre.”
Hendrix: incantatore, non inventore
Townshend non ha mai nascosto la sua opinione su Jimi Hendrix, riconoscendone l’enorme talento tecnico ma ridimensionandone la portata creativa. Per Townshend, Hendrix era un grande esecutore, capace di adattare con maestria idee blues tradizionali e tecniche apprese da lui stesso o da Eric Clapton. Ciò che lo rendeva straordinario, secondo Townshend, non era l’innovazione musicale, ma il carisma magnetico che esercitava sul pubblico, soprattutto sulle donne. “Non era un tipo particolarmente bello,” dice Townshend, “ma aveva un carisma magico.”
Legato a Jimi Hendrix, Townshend vanta anche un altro primato: quello di aver introdotto nell’estetica e nell’immaginario del rock la fascinazione e la ritualità di fracassare la chitarra sul palco. Un gesto che ha portato avanti in modo persino più clamoroso e sistematico rispetto a Hendrix, rendendolo una delle immagini simbolo degli Who e di un’epoca in cui il rock era provocazione e spettacolo. (LEGGI UN ARTICOLO SU PERCHE' PETE TOWNSHEND DISTRUGGEVA LE CHITARRE DURANTE I CONCERTI)