07 luglio 2025

Ringo Starr: il batterista che suonava per la canzone

Omaggio all'ex Beatles, batterista geniale e tra i più sottovalutati e fondamentali nella storia della musica

C’è un paradosso che attraversa la storia del rock, una contraddizione che si ripete quasi come un’ingiustizia tramandata: Ringo Starr è stato per decenni il batterista più famoso del mondo, ma anche uno dei più incompresi. Mentre i critici si accapigliavano sulle doti di Lennon e McCartney, e George Harrison costruiva in silenzio il suo culto, anche da solista, Ringo restava sullo sfondo, con il suo sorriso pacifico e quel modo tutto suo di picchiare i tamburi, senza mai esagerare, ma sempre lasciando il segno.

Eppure, basta poco per capire che Richard Starkey, in arte Ringo Starr, è stato un batterista rivoluzionario, un innovatore stilistico prima ancora che tecnico, un artista che ha riscritto le regole del suonare la batteria mettendosi al servizio della canzone.


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Il mancino che suonava come un destro

Una delle chiavi per comprendere il drumming di Ringo sta nella sua anomalia fisica e musicale: Ringo è mancino, ma ha sempre suonato su un kit per destri.

Questo ha influenzato profondamente il suo stile: gli ha dato una naturale inclinazione a partire con la mano sinistra, a usare i piatti in modo non convenzionale, e a costruire fill e groove che non seguivano la simmetria dei colleghi destrorsi.

Il suo shuffle è diventato leggendario e nei momenti in cui si prende il centro del palco (P.S. ricordiamoci che, in un mondo di batteristi nelle retrovie, Ringo fu tra i primi a svettare su una pedana), lo fa con gusto, con classe, con inventiva, mai con l’arroganza del virtuosismo.

Ringo non si mette mai sopra la canzone, la accompagna, la sostiene, la rende riconoscibile. 

Ringo Starr: il batterista che suonava per la canzone
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5 brani per scoprire il talento di Ringo Starr


1. Ticket To Ride – L’inizio del cambiamento

L’uscita di “Ticket To Ride” nel 1965 segnò un punto di svolta per i Beatles: più sperimentali, più rock, più consapevoli. E proprio qui, Ringo tira fuori uno dei pattern di batteria più iconici della carriera dei Fab Four. Il suo groove, quasi meccanico ma estremamente umano, è costruito su colpi secchi e irregolari: una sincopazione spezzata che anticipa il krautrock e flirta con lo psych.

Il modo in cui Ringo accompagna il riff di chitarra — non seguendolo, ma creando un contrasto ritmico, anche sporco e impreciso — è puro genio.

Sembra semplice, ma provate a replicarlo con la stessa intensità e coerenza per tutta la canzone: vi ritroverete a fare i conti con una struttura che solo chi ha una visione chiara del brano può sostenere.




2. Rain – Il manifesto della psichedelia ritmica

“Rain” (1966) è spesso citata come una delle migliori performance di Ringo Starr di sempre. E a ragione. Qui la batteria non è un accompagnamento: è la protagonista insieme alla voce filtrata e al basso pulsante di McCartney.

I fill di Ringo sono fluidi, lisergici e gettano le basi della rivoluzione di Revolver. Le rullate si infilano tra le battute con una sensibilità jazz, mentre il tempo rallenta e accelera con una naturalezza quasi liquida frutto anche di uno dei primi trucchetti da studio che saranno poi sviluppati nel disco capolavoro dei Fab Four con la linea rallentata in fase di produzione.

L’effetto finale è una batteria che galleggia, che oscilla con la psichedelia del pezzo, che si prende tutti gli spazi giusti senza mai strafare.

Lennon stesso disse: “Ringo’s best drumming ever.” E come dargli torto?




3. Something – Il tocco leggero della grandezza

“Something” (1969) è uno dei brani più amati dei Beatles, scritto da George Harrison, ed è anche un esempio cristallino della maturità tecnica e artistica di Ringo Starr.

Qui la batteria è quasi impercettibile ma indispensabile.

Ringo usa il silenzio come una nota, scegliendo con estrema attenzione dove entrare e dove restare in sospensione.

I piccoli fill al tom e al rullante, il controllo maniacale del charleston, il modo in cui accompagna l’assolo di chitarra con un crescendo sottile ma emozionante: tutto grida raffinatezza e controllo. È la prova che la tecnica non è velocità, ma capacità di saper stare dentro alla musica.



4. I Feel Fine – L’archetipo del groove moderno

In “I Feel Fine” (1964) Ringo introduce uno dei primi esempi di feedback registrato in studio, ma il vero colpo da maestro arriva subito dopo: il groove saltellante e swingato che accompagna tutto il brano.

Qui c’è l’influenza del rhythm and blues, McCartney citò Ray Charles e What I'd Say, ma c’è anche il tocco di Starr, che aggiunge quel groove elastico e regolare che diventa il fondamento del beat moderno.

È l’archetipo del drumming “pop con l’anima rock”: preciso, piacevole, ipnotico. Nessuna rullata fuori posto, nessun virtuosismo, ma una consistenza e una efficacia impagabili.




5. Back Off Boogaloo – Il Ringo solista che sorprende

Tra alcun perle della carriera solista di Ringo, “Back Off Boogaloo” (1972) merita un’attenzione particolare. Prodotta da George Harrison, il brano è un’esplosione di groove, con una batteria funky e muscolosa che si prende il centro del palco. Qui Ringo non ha paura di spingere, di variare pattern, di esplorare nuove dinamiche.

Il mix mette in primo piano il suo drumming: incalzante, ricco di sfumature, potente ma controllato. È la dimostrazione che, fuori dall’ombra dei Beatles, Ringo sapeva esprimersi con grande personalità. Il suo tocco rimane unico, e riconoscibile dopo appena due battute.



Le parole degli altri musicisti: rispetto assoluto

È facile difendere Ringo oggi, ma - tra tanti detrattori convinti che un batterista abbia senso solo se veloce e potente, un po' come chi pensa che giocare a calcio sia fare il funambolo - il rispetto per lui non è mai mancato tra i colleghi.

Phil Collins lo ha definito “il batterista più musicale che abbia mai ascoltato”.

Dave Grohl lo considera uno dei suoi riferimenti fondamentali: “Tutto quello che fa è perfetto per la canzone. Non potrei mai suonare con quella eleganza.”

E anche Charlie Watts degli Stones ha sempre ammesso che Ringo aveva un gusto fuori dal comune, una capacità di dire tanto con poco, che rappresenta l’essenza stessa del rock’n’roll. La sua influenza è trasversale: dal punk al pop, dal prog al funk, chiunque abbia ascoltato musica negli ultimi 60 anni ha ascoltato Ringo, anche senza saperlo.

Ringo Starr, proprio come il compianto Watts per gli Stones, è inoltre stato il collante, l’equilibratore, l’architetto ritmico che ha permesso alla più grande band del mondo di esplorare, osare e rimanere sempre in piedi.

Ha reinventato il concetto di batteria nel pop-rock, ha anticipato soluzioni stilistiche che sarebbero diventate standard, e ha fatto tutto questo senza mai dover dimostrare nulla a nessuno.