Room On Fire, il passato futuro degli Strokes
Il 28 ottobre del 2003 The Strokes affrontarono la difficile prova del secondo album dopo il successo di Is This It rinnovando la loro identità in Room On Fire
Il 28 ottobre del 2003 gli Strokes pubblicavano Room On Fire, secondo album in studio che si trovò ad avere il difficile compito di seguire il successo di "Is This It", uno dei dischi di debutto più importanti dell'indie americano del nuovo millennio.
Con "Is This It" la band di Julian Casablancas rimise nuovamente sulla mappa la fervente scena di New York, contribuendo ad un ritorno a livello planetario del guitar rock.
Il punk e la no wave che hanno reso celebre la Grande Mela a cavallo tra gli anni '70 e '80 arrivarono anche alle nuove generazione grazie alla 'lucidata' data dagli Strokes che, armati di canzoni immediate, riff indimenticabili, il riconoscibilissimo cantato distorto di Casablancas e tonnellate di coolness urbana.
Dopo aver popolato le copertine di mezzo mondo e portato ovunque la loro musica dal vivo, The Strokes avevano ora bisogno di restare sull'onda e tornare in studio per dare seguito a classici moderni come New York City Cops, Last Nite, Hard To Explain o Someday.
L'identità degli Strokes
Dopo il successo planetario di Is This It (2001), i The Strokes si trovavano a dover affrontare le aspettative altissime per il secondo album. Room on Fire, pubblicato nel 2003, è nato da un momento di intensa pressione creativa e dall’esigenza di affermare l’identità musicale della band.
Nel giro di due anni la formazione newyorkese si era presa di prepotenza la scena, diventando il terreno sul quale il popolo alternative revivalista, che non si riconosceva nel rock americano di quel momento e nel sound nu metal tanto in voga in quegli anni, cominciò a germogliare.
Un impatto che creò un filo diretto con Londra e diede vita all'ultima grande tornata di popolarità per un certo sound alt-rock che, in un continuo batti e risposta, definì un'era.
Se qualche anno dopo Alex Turner decise di aprire Star Treatment degli Arctic Monkeys con il verso 'I just wanted to be one of The Strokes', è facile immaginare l'importanza storica del quintetto newyorkese.
E proprio l'identità degli Strokes è al centro delle prime problematiche affrontate dalla band nel momento in cui si è presa la decisione di tornare in studio e tentare di coinvolgere un produttore come Nigel Godrich.
Il tentativo fallito con Godrich e il ritorno al passato
In qualche modo gli Strokes diventarono responsabili di qualcosa, che gli interessasse o meno, e il detonatore per una nuova era fatta di skinny jeans, Converse All Star lise, e giacche di pelle. Una sorta di blob stiloso e stradaiolo in grado di inglobare act che avevano in comune anche solo il fatto di suonare guitar rock, possibilmente con un taglio di chitarra spigoloso o anche molto meno.
Dall' essere bollati come next big thing a next The Strokes fu un attimo, amplificando in modo esponenziale il peso della pressione sulle spalle di una band che era ancora alla scoperta del proprio posto nel mondo.
Un primo tentativo di andare oltre, dicevamo, venne fatto contattando Nigel Godrich, storico produttore e collaboratore dei Radiohead, una band che, specialmente in quegli anni, andava in una direzione diametralmente opposta a quella dei cinque americani.
Il matrimonio si rivelò infatti poco proficuo, con gli Strokes che descrissero l'approccio di Godrich come 'senza anima' e il produttore contribuì il mancato successo all'impossibilità di avere due 'control freak' - lui e Casablancas - all'interno della stessa stanza. "Io volevo cambiarli e loro non me lo consentirono", dirà.
E, in effetti, i lavori proseguirono con un ritorno al passato, affidando nuovamente il suono del secondo album a Gordon Raphael, già produttore di "Is This It", che aveva solo tre mesi di tempo per uscire dallo studio con un prodotto finito.
Con un album da mettere in piedi dall'inizio, gli Strokes si misero al lavoro 24 ore su 24, cercando di sfruttare ogni secondo consentito dalla loro serratissima schedule per realizzare qualcosa che fosse nuovo ma che non disperdesse l'identità che li aveva resi la band del momento.

Il megafono di una generazione
Il risultato fu Room On Fire, una raccolta di undici canzoni che si apre con Casablancas che canta 'I wanna be forgotten, I don't wanna be reminded', come a voler scacciare l'incredibile pressione che si era trovato ad affrontare all'improvviso.
E dire che Casablancas non era certo a digiuno di star system, abituato ad essere circondato dalle più importanti supermodelle, cresciuto sin da piccolo nello showbiz grazie a suo padre, John Casablancas, dirigente di Elite, la più importante agenzia di modelle al mondo.
Un mondo che gli Strokes decisero di affrontare facendo ciò che sapevano fare meglio e continuando a guardare alle proprie influenze: a Lou Reed i Velvet Underground, alla New York del CBGB's ma aggiungendo qualcosa di nuovo.
Pur essendo irrimediabilmente Strokes e conservando tutti i tratti che avevano reso celebre la band, "Room On Fire" non fu solo un fratello minore di Is This It ma mise in campo anche elementi nuovi, come gli intrecci di chitarre inediti o i synth di 12:51, i giri fuori di What Ever Happened ? e l'andamento da ballad di Under Control.
Con un piede nel passato e uno nel futuro, Room On fire garantì agli Strokes un quarto posto nella classifica degli album più venduti negli Stati Uniti e, nonostante alcuni scetticismi dovuti al paragone con il primo disco, mise d'accordo critica e pubblico.
In qualche modo, Room On Fire riuscì a crearsi una sua identità in grado di viaggiare in parallelo ad Is This It e di avere un impatto, se non uguale, almeno simile al primo lavoro della band e capace di fotografare un preciso momento storico in cui le chitarre tornarono a fare da megafono per una generazione turbolenta.