23 giugno 2025

Tears For Fears: tre album per capire l’evoluzione sonora più ambiziosa degli anni '80

Dal synth-pop emotivo di The Hurting alla magnificenza produttiva di The Seeds of Love: tre album per raccontare l’evoluzione dei Tears For Fears.

Formatisi nel 1981 a Bath, Inghilterra, i Tears For Fears sono uno dei progetti più ambiziosi e sofisticati nati in seno alla new wave britannica. Il duo fondatore — Roland Orzabal e Curt Smith — prende ispirazione da fonti colte e insospettabili: psicologia junghiana, progressive rock, Beatles, ma anche dal minimalismo emotivo del post-punk e dalla nuova elettronica degli anni Ottanta.


Nel bel mezzo di una scena musicale che abbracciava sintetizzatori e drum machine, i Tears For Fears riescono nell’impresa di fondere introspezione lirica, ambizione sonora e spirito pop, diventando un ponte tra rock, l’avanguardia della new wave e la classicità della grande canzone britannica.

Tears For Fears: tre album per capire l’evoluzione sonora più ambiziosa degli anni '80

Nel giorno del compleanno di Curt Smith, ripercorriamo la loro traiettoria con tre dischi fondamentali, che rappresentano altrettante tappe evolutive: THE HURTING, SONGS FROM THE BIG CHAIR e THE SEEDS OF LOVE

THE HURTING (1983)


Album d’esordio e manifesto di una poetica malinconica ma potente, THE HURTING è uno dei dischi più rappresentativi del primo synth-pop britannico. Tutto ruota attorno alla fragilità interiore, alla sofferenza psichica e all’eco della teoria delle “urla primordiali” di Arthur Janov. I suoni sono scarni, elettronici, tesi: tastiere fredde, linee vocali struggenti, ritmi programmati che sottolineano l’inquietudine dei testi. 
Ma è proprio l’impegno nel songwriting, la presenza di contenuti autentici e profondamente vissuti nei testi, a fare la differenza: non è l’esercizio di stile di due giovani musicisti brillanti che esplorano il nuovo mondo sonoro del synth-pop, ma un vero e proprio album, concepito con urgenza e consapevolezza. È questo che rende i Tears For Fears una vera band, e non solo un progetto tra tanti della new wave. "Mad World", "Pale Shelter", "Change" sono canzoni immediate e profonde, già capaci di mostrare un’identità ben definita.


SONGS FROM THE BIG CHAIR (1985)


Due anni dopo, i Tears For Fears sorprendono tutti: SONGS FROM THE BIG CHAIRS è un capolavoro di equilibrio tra forma e contenuto, tra canzone pop e raffinatezza sonora. Il minimalismo emotivo degli esordi lascia spazio a un pop sontuoso, stratificato, che non rinuncia mai alla profondità tematica. 
La chiave dell’evoluzione è l’attitudine rock, che porta a costruire un impianto sonoro in cui basso, batteria e chitarre elettriche — strumenti portanti del genere — regnano, armonizzandosi alla perfezione con i sintetizzatori, la voce e l’estetica dominante di quel periodo. I synth non solo si amalgamano con eleganza agli strumenti analogici, ma esplorano sonorità ambient, contribuendo a una spazialità suggestiva e malinconica che renderà unico l’atmosfera di questo disco e influenzerà profondamente il pop-rock degli anni ’80.
 "Shout", "Everybody Wants To Rule The World" e — soprattutto — "The Working Hour" sono idiventati dei classici, ma anche esempi di produzione d’autore, perfetti nel fondere pop, rock, soul e armonie jazz con un’anima elettronica calda e visionaria. Sono brani che possono essere letti anche come perle di art rock: quel tipo di approccio compositivo che, da Peter Gabriel a David Bowie, ha permesso ad artisti ispirati di ottenere un successo popolare enorme senza rinunciare a scritture ardite, arrangiamenti coraggiosi e contaminazioni stilistiche che sfidavano i cliché del genere.


THE SEEDS OF LOVE (1989)


Una vera e propria ossessione sonora. THE SEEDS OF LOVE nasce da anni di lavoro, sessioni estenuanti, musicisti stellari e un’ambizione dichiarata: creare l’album perfetto. Orzabal e Smith guardano ai Beatles — esplicitamente omaggiati nel brano omonimo — ma si inseriscono nella stessa scia di grandi produzioni che hanno segnato gli anni ’80: THRILLER di Michael Jackson, SO di Peter Gabriel, THE JOSHUA TREE degli U2 e tanti dischi dei Toto. Tutti accomunati dalla stessa urgenza: unire qualità compositiva, arrangiamenti impeccabili ed eccellenza sonora in un’esperienza sonora e musicale totale.
 Complice l’entusiasmo per le nuove tecnologie di registrazione, questo disco affianca alla scrittura ispirata e all’esecuzione di altissimo livello una ricerca sonora maniacale: ogni suono, ogni ambiente, ogni sfumatura viene scolpita con precisione chirurgica per generare un ascolto immersivo, coinvolgente e tridimensionale.
 In "Woman in Chains", brano chiave del disco, l’atmosfera intensa e malinconica si regge sulla voce profonda di Oleta Adams, sostenuta inizialmente dalla batteria elegante e discreta di Manu Katché, che lascia poi spazio, al minuto 3:32, all’ingresso fragoroso e iconico di Phil Collins. Il suo “big drum sound” — già reso celebre in "In the Air Tonight" — esplode nella seconda parte del brano con fill incisivi, piatti carichi di tensione e un suono riverberato che amplifica la drammaticità del crescendo emotivo. La produzione firmata insieme a Dave Bascombe valorizza pienamente questa alternanza, rendendo la batteria una vera protagonista nella narrazione sonora del pezzo.
Jazz, soul, psichedelia, progressive e pop orchestrale si intrecciano lungo tutta la tracklist, dando vita a una delle produzioni più ambiziose e raffinate del decennio.