21 dicembre 2024

Van Halen: “Jump” tra synth, chitarre e tensioni creative

"Jump" dei Van Halen è un manifesto degli anni ’80: un mix geniale di synth pop e chitarra metal che segnò -nel bene e nel male - la svolta della band

"Jump" dei Van Halen esce il 21 dicembre 1983, anticipando di poche settimane la pubblicazione di 1984, album che resterà il maggior successo commerciale della band. "Jump" è uno dei brani più rappresentativi del sound e dell’attitudine degli anni ’80. È un pezzo perfetto: con un testo accattivante, un groove irresistibile, un ritornello travolgente, un’energia spensierata e un assolo di chitarra incredibile, conquista le classifiche globali, diventando il primo (e unico) singolo dei Van Halen a raggiungere la vetta della Billboard Hot 100.

La scelta di Eddie Van Halen, all’epoca il chitarrista più innovativo e imitato della scena rock, di mettere i sintetizzatori al centro del brano è una svolta che scompiglia la scena rock, hard rock e metal. La fusione tra i due generi più popolari del decennio, il synth pop e il metal, evidenzia la capacità dei Van Halen di superare i confini stilistici, caratteristica delle più grandi rock band di sempre. Tuttavia, questa evoluzione divide i fan: mentre alcuni applaudono la modernità del brano, altri rimpiangono il sound più grezzo e violento degli esordi. Anche all’interno della band emergono tensioni: per David Lee Roth, la svolta verso i sintetizzatori rappresenta una minaccia all’anima heavy e chitarristica dei Van Halen, alimentando una frattura che lo porterà a lasciare il gruppo poco dopo.

Van Halen: “Jump” tra synth, chitarre e tensioni creative

Un manifesto degli anni ’80

“Jump” racchiude la voglia di leggerezza degli anni ’80, il gusto per l’esagerazione e il divertimento sfrenato, con una solarità inedita e un approccio positivo e scanzonato. Con “Jump”, sparisce qualsiasi traccia del piglio maledetto o esoterico che aveva animato le star dell’hard rock degli anni ’70, così come l’ambiguità voluttuosa del glam o quel piglio secchione delle band progressive. I Van Halen portano un’immagine allegra e colorata. Sembrano una band che - dopo un pomeriggio passato tra palestra e campo da football - si appresta con il sorriso impertinente del bravo ragazzotto di provincia, a furoreggiare tra party, belle ragazze, drink e rock’n’roll. Questa frivolezza nell’immagine si sposa con un hard rock ballabile e coinvolgente, eseguito con precisione e una tecnica straordinaria. Perché i Van Halen erano una macchina musicale micidiale, guidata dal genio di Eddie Van Halen, uno dei chitarristi più innovativi e musicali di sempre. Diversamente dai miti del passato come Hendrix, Page, Clapton e Townshend - con la loro aurea mistica da figure, quasi, ultraterrene - Eddie era il simbolo degli anni ’80: un supereroe della porta accanto, alla stregua di Rambo o Indiana Jones. Persone normali che grazie al talento, alla dedizione e a una straordinaria determinazione, riuscivano a compiere imprese incredibili.

 

Dimenticarsi la chitarra nella custodia

In un paradosso unico, Eddie Van Halen – uno dei più clamorosi chitarristi rock di sempre – realizza il suo capolavoro lasciando per gran parte la chitarra nella custodia. “Jump” è dominata da un Oberheim OB-Xa, un sintetizzatore modernissimo per l’epoca. Questo esperimento audace mescola hard rock e synth pop, due generi all’apice creativo negli anni ’80. Eppure, anche in un brano così dominato dal synth, Eddie non rinuncia alla sua chitarra. L’assolo di “Jump” è uno spettacolo pirotecnico, un momento che unisce tecnica, velocità e melodia in un’esplosione di pura bellezza artistica. Più di un semplice assolo, è una canzone nella canzone che emoziona anche solo ammirando  il balletto incantato, inverosimile, della dita di Eddie sulla tastiera della sua Super Strat bianca e rossa. Benché la commistione tra hard rock e synth che caratterizza "Jump" rappresenti solo una parte della cifra stilistica di 1984 ( album che segna il picco commerciale dei Van Halen com 20 milioni di copie vendute) questa contaminazione ne farà comunque un  disco controverso. I sintetizzatori aprono il disco con lo strumentale "1984" e sono centrali in brani come "Jump" e "I'll Wait", ma il resto dell’album è composto da classici come "Panama", "Hot for Teacher" e "Drop Dead Legs", brani di puro hard rock scandito da basso, chitarra distorta e batteria, per altro arricchiti dalle prodigiose acrobazie a sei corde di Eddie Van Halen.

 

La frattura con David Lee Roth

L’inserimento dei synth, unito a un songwriting più leggero e pop, fece però storcere il naso ai fan più affezionati al sound grezzo degli esordi, in particolare quello dell'omonimo debutto VAN HALEN (1978), considerato il capolavoro artistico della band. Poco importa che su 1984 la chitarra di Eddie tocchi vette di perfezione, con un suono più caldo, definito ed elegante, e riff e assolo impossibili e musicalmente stupendi. Per molti, l’album rappresentava una deriva pop che non soddisfaceva nemmeno David Lee Roth, il quale preferiva un hard rock più spigoloso e pirotecnico, zeppo di virtuosismi di chitarra. La frattura fu inevitabile: Roth lasciò la band subito dopo e realizzò EAT ‘EM AND SMILE (1986), strepitoso debutto solista con uno scatenato Steve Vai alla chitarra.

Un cerchio che si chiude

L’introduzione dei sintetizzatori in “Jump” non fu una scelta casuale, ma piuttosto il risultato di un percorso artistico che riportò Eddie Van Halen alle sue radici. Da bambino, Eddie era un talentuoso studente di pianoforte classico. Affascinava i suoi maestri per l’abilità con cui eseguiva brani di Beethoven, Bach e Mozart, vincendo anche concorsi. Ma li lasciava esterrefatti quando scoprivano che suonava tutto a orecchio, senza leggere la musica. Quel periodo formativo gli lasciò un’impronta indelebile: un background da virtuoso della musica classica che Eddie rielaborò in chiave rock alla chitarra. Ma nel caso di “Jump”, quei sintetizzatori, suonati con la stessa sfrontata sicurezza con cui Eddie affrontava il pianoforte da piccolo, rappresentano un ritorno alle origini: una chiusura del cerchio che mescola l’anima classica del musicista con l’energia irriverente del rock anni ’80. Un esempio perfetto di come Eddie Van Halen fosse un esploratore musicale, alla continua ricerca di nuovi linguaggi espressivi al servizio della musica di qualità.