Lenny Kravitz: groove, anima e chitarra
Lenny Kravitz e la chitarra: non un accessorio, ma la sua voce più autentica. Storia, dichiarazioni e tre brani che raccontano il suo stile elettrico e libero.
Nato il 26 maggio 1964, Lenny Kravitz è un musicista per cui la chitarra rappresenta la voce principale del proprio rock. Fin dagli esordi alla fine degli anni '80, ha affidato alle sei corde la riscoperta delle sonorità più calde e viscerali della tradizione, affondando le radici nel soul, nel funk e nel blues, ma riuscendo a declinarle con lo stato dell’arte di suono e produzione contemporanea.
Il suo essere chitarrista incide profondamente sulla sua personalità artistica, tanto quanto il carisma da frontman, il talento da autore e produttore, o l’innegabile fascino che ne ha fatto un’icona di stile.

Come un pittore davanti alla tela
Nella sua visione della musica, la chitarra non è un semplice strumento di accompagnamento, ma parte integrante del processo creativo, sullo stesso piano della voce, della scrittura e dell’arrangiamento. È lui stesso ad averlo spiegato in più interviste, sottolineando come nella sua musica non esistano compartimenti stagni: “Per me è tutto un unico esercizio. È come se fossi un pittore davanti a una tela bianca, con tutti i colori e i pennelli: crei la tua espressione, il tuo quadro. Credo che sia lì che sta il mio vero talento: nella visione d’insieme. Non si tratta di essere un virtuoso della chitarra, un grande cantante o un bravo compositore: si tratta di mettere tutto insieme. Penso unicamente ad avere un foglio bianco davanti a me: prendo un basso, una o più chitarre, suono la batteria, le tastiere… per me è tutto un unico processo. Forse perché ho iniziato così. Non vedo confini tra le cose. Il mio obiettivo è trasformare in suono ciò che sento nella mia testa.” E Kravitz non è un chitarrista “per modo di dire”: suona dannatamente bene! Va ben oltre il cliché del songwriter che si accompagna alla sei corde. È un riff maker micidiale, un solista appassionato, evocativo. Un vero buongustaio del suono. Conosce ogni dettaglio di chitarre, amplificatori e setup vintage, tanto da aver dettato standard produttivi che ancora oggi sono riferimento per molte produzioni rock. Non a caso, proprio per questa identità chitarristica così marcata, è spesso stato citato tra i grandi nomi del rock che pubblico e critica chiamano in causa come eredi diretti di Jimi Hendrix.
Prince e gli amplificatori a palla
Il mondo si accorge di quanto bene Lenny Kravitz suoni la chitarra nel 1991 con "Are You Gonna Go My Way" (MAMA SAID), quando il suo riff diventò un’oasi di energia ruspante in un’epoca divisa tra le esasperazioni metal e l’oscurità del grunge. Quel suono, così istintivo e dinamico, veniva da un approccio retro, puro: una chitarra sparata in un ampli al massimo, senza filtri. “È il suono del rock che amo, e lo faccio così da Let Love Rule (1989). Ho dei vecchi piccoli amplificatori, li metto a 10, attacco la chitarra direttamente e ottengo quel suono saturo. Tutte le parti ritmiche sono chitarra nell’amplificatore al massimo, senza alcun tipo di elaborazione”, ha spiegato Kravitz in più occasioni. Un metodo disarmante nella sua semplicità, soprattutto se paragonato all’esuberanza di suoni che caratterizza i suoi dischi. Talmente essenziale da lasciare attoniti persino musicisti abituati a gestire mille effetti. “Una volta stavo jammando con Prince e mi ha chiesto: ‘Che effetto hai sulla chitarra?’. L’ho guardato e gli ho risposto: ‘Nessuno. È solo una chitarra dentro un amplificatore Fender, a palla’. Non riusciva a crederci! Lui era uno che usava tanti effetti – e li usava benissimo – ma in quel momento pensava ci fosse chissà cosa dietro. E invece niente, proprio niente.” Un episodio che Kravitz non perde occasione di ricordare – gongolando – nelle interviste, a dimostrazione che l’essenza del suo suono non dipende dalla tecnologia, ma dalla personalità.
Feeling, ritmo e intensità
Anche l’approccio alla chitarra solista di Kravitz riflette, prima di tutto, l’urgenza di mettersi al servizio della canzone. In un’intervista alla rivista Guitarist, ha spiegato di non essersi mai preoccupato di essere un chitarrista solista appariscente, ma nemmeno di aderire a un solo linguaggio espressivo: “Mi interessa che si dica di me che ho servito la musica. E anche che non ho avuto confini. Qualunque stile, qualunque cosa funzioni nel contesto del brano, per me va bene. La chitarra è uno strumento senza confini; incatenarsi significherebbe tradirla.” Ma chiarito questo, è vero che Lenny Kravitz ha sempre inseguito un approccio all’assolo molto melodico, narrativo, attento all’essenzialità e all’emozione più che alla tecnica. “Se devo dire qualcosa,” ha spiegato, “se voglio trasmettere un’emozione, potrei parlarti per due ore e farti una lezione, ma finiresti per perdere l’attenzione. Perché se parlo e parlo e parlo, ti perdo. Oppure potrei dirti una frase che ti cambia la vita in cinque parole. È lo stesso con la musica, con un assolo di chitarra.” Un approccio, questo, che Kravitz non ha mai mancato di ricondurre alla grande lezione dei maestri del blues: “Puoi suonare un milione di note e non avere alcun senso del feeling, del ritmo o dell’intensità. B.B. King poteva prendere una sola corda, una sola nota, un solo dito… e abbattere una montagna.”
Tre canzoni
Negli anni, Lenny Kravitz ha costruito un’identità chitarristica ben definita, fatta di suoni essenziali, groove irresistibili e un uso misurato ma incisivo dell’assolo. E se è vero che la sua discografia è piena di episodi memorabili, ci sono alcune canzoni che lui stesso ha indicato, in diverse interviste, come particolarmente rappresentative della sua visione della chitarra. Brani che raccontano meglio di ogni teoria il suo stile, il suo gusto, e quell'equilibrio perfetto tra energia, eleganza e impatto emotivo che ha reso unico il suo approccio. Ecco tre pezzi scelti direttamente da lui.
"Rock And Roll Is Dead" (CIRCUS, 1995)
"In questo pezzo c’è l'influenza dei Led Zeppelin, lo ammetto: adoro il modo di suonare di Jimmy Page. È nato mentre stavo facendo una cosa un po’ zeppeliniana con la chitarra, ma poi la voce ha preso una direzione melodica diversa, tutta sua. In questa canzone c'è semplicemente tutto il mio amore per la chitarra. Suono con la stessa foga di un ragazzino, lasciando uscire quella libertà e quella gioia che solo la chitarra sa dare. Perché c'è qualcosa di magico nel suonare come quando eri alle medie e ti inventavi i riff... È questo il bello della chitarra elettrica. È qualcosa che non perdo mai, ogni volta che la imbraccio."
"Mr. Cab Driver" (LET LOVE RULE, 1989)
"Era un’idea di riff sporco, ruvido, molto semplice. Quel giorno stavo cercando di raggiungere lo studio, ma non riuscivo a far fermare un taxi. Spesso succede: se sei nero, chiedi un passaggio e stai andando verso Harlem, Brooklyn o altre zone uptown, non ti ci vogliono portare. Comunque, dopo un’ora passata a cercare di arrivare, finalmente arrivo in studio. Ero incazzato. Ho preso la chitarra in mano e questa è la canzone che è uscita fuori. Volevo un suono da New York fine anni ’60 o inizio ’70, tipo Velvet Underground o qualcosa del genere. Una cosa davvero semplice. Il suono della chitarra è figo: un suono da strada.”
"Always On The Run" (MAMA SAID, 1991)
Questa è la canzone che segna la mitologica collaborazione tra Kravitz e Slash, in un inseguirsi di riff e assolo diventati leggendari, alimentati da bottiglie di vodka e vecchi ricordi tra due ex compagni di liceo. Una storia così bella che merita di essere letta nel dettaglio! (qui la storia completa)