Il nuovo disco degli Arcade Fire si apre alla profondità emotiva e sonora di Daniel Lanois, tra introspezione, ambientazioni cinematiche e rock evocativo.
La presenza del singolo “Pink Elephant” degli Arcade Fire nella nostra Top 20 ha acceso la curiosità attorno al nuovo, omonimo disco della band canadese. Un brano rock intimo, quasi sonnolento e che si apre su più livelli di suono e influenze; ci ha spinti ad ascoltare l’intero omonimo album con maggiore attenzione e prospettiva.
Proviamo a raccontare Pink Elephant filtrandolo attraverso la sensibilità di Daniel Lanois, produttore visionario già al lavoro su capolavori come The Joshua Tree (1987) degli U2, oppure So (1986) di Peter Gabriel. La sua estetica sonora, densa e cinematica, è la lente privilegiata con cui esploriamo questo nuovo capitolo degli Arcade Fire.
Deus Ex Machina
Su Radiofreccia ci siamo spesso appassionati a raccontare la storia dei grandi dischi attraverso i loro produttori artistici: figure che, più di quanto si immagini, hanno indirizzato e modellato l’identità sonora di un album. Veri e propri Deus Ex Machina che, in modi diversi e spesso decisivi, hanno saputo accompagnare la visione dell’artista, traducendola in opere memorabili. C’è chi, come David Kershenbaum, ha puntato tutto sull’essenzialità e la forza narrativa di una giovane cantautrice come Tracy Chapman, sostenendola nell’esordio di "Fast Car" con un progetto acustico e intimista proprio mentre il pop e il rock mainstream esplodevano in sintetizzatori, look plastificati e produzioni iper costruite.
C’è chi ha sfidato le band a uscire dalla propria comfort zone, abbracciando suoni più stratificati, organici, a costo di qualche frizione e tradimento di intenti: Michael Beinhorn ha fatto questo con le Hole in Celebrity Skin (1998), Gil Norton con i Foo Fighters in The Colour And The Shape (1997), Rob Cavallo con i Green Day in American Idiot (2004).
E poi ci sono stati produttori capaci di intuire che la chiave del successo fosse esaltare proprio l’anomalia, la parte più impensabile e scomoda di una band: come Chris Thomas, che ha prodotto NEVER MIND THE BOLLOCKS (1977) dei Sex Pistols con la precisione di un album pop, o che ha scolpito l’estetica brillante e ibrida di KICK (1987) degli INXS, dando tempra rock da classifica agli elementi funk, pop e dance di partenza.
In questa galleria di nomi, uno dei più poetici e visionari è senza dubbio Daniel Lanois. Formatosi all’ombra del gigante Brian Eno, da cui ha assorbito l’arte della manipolazione sonora e delle ambientazioni immersive, Lanois ha poi iniziato a brillare di luce propria, firmando produzioni che sono entrate nella storia.
Una delle sue cifre distintive è la ricerca costante di spazialità e profondità attraverso l’uso di texture ambientali, layering stratificati e ambienti di registrazione non convenzionali. Il risultato è un suono avvolgente, atmosferico, ma mai fine a sé stesso: sempre al servizio della narrazione e dell’identità emotiva di un disco. È con questo bagaglio unico che Daniel Lanois firma la produzione di The Pink Elephant, nuovo album degli Arcade Fire. E ascoltarlo tenendo presente la sua sensibilità, aiuta a coglierne sfumature, ambizioni e incanti.
