THE DREAM OF THE BLUE TURTLES: Sting, l’inizio di un’altra storia
L’esordio solista di Sting tra jazz, funk e rock raffinato. Un disco ambizioso, oltre i Police, con una band stellare. Tre brani guida per riscoprirlo.
Pubblicato il 17 giugno 1985, THE DREAM OF THE BLUE TURTLES segna l’esordio solista di Sting e la sua decisa emancipazione dai Police. Un disco ambizioso e raffinato, dove pop, rock, jazz, funk e musica colta si intrecciano in una nuova identità musicale, libera dalle formule del passato.
Accanto a lui, una band formata da fuoriclasse assoluti provenienti dall’Olimpo del jazz contemporaneo: Branford Marsalis (dal giro diel fratello Wynton Marsalis), Omar Hakim (Weather Report), Darryl Jones (Miles Davis e futuro bassista stabile dei Rolling Stones dal 1992) e Kenny Kirkland (anch’egli dalla scuderia Marsalis). Ma la nascita del disco non fu priva di ostacoli. In questo articolo raccontiamo genesi, tratti stilistici e tensioni artistiche, chiudendo con tre brani chiave per avventurarsi tra i solchi più rappresentativi dell’album.

Oltre i Police
THE DREAM OF THE BLUE TURTLES è il debutto discografico di Sting ed è un album che inizia a mettere le radici quando, di fatto, i Police sono ancora assieme. La band è in cima al mondo, osannata dalla critica e consacrata dal fanatismo del pubblico, dopo la pubblicazione di quello che sarà il loro ultimo album, SYNCHRONICITY (1983), trionfo trainato da hit come “King Of Pain” e soprattutto “Every Breath You Take”, destinati a diventare non solo cavalli di battaglia imperituri del gruppo, ma classici del rock. Ma i Police vogliono restare coerenti con la loro storia: un’ascesa che, dall’esordio di OUTLANDOS D’AMOUR (1978) solo cinque anni prima, li aveva visti crescere in popolarità, vendite e notorietà in maniera inarrestabile. Una scalata alimentata da un’evoluzione musicale spettacolare dove, album dopo album, si erano rinnovati di continuo. Bene: ora questi stimoli, questa vista su un’ulteriore evoluzione, per i Police sembra mancare. E così Sting, il chitarrista Andy Summers e il batterista Stewart Copeland decidono che, fino a quando non ci saranno nuove idee, nuovi slanci, i POLICE staranno in stand-by. È una maniera furba per fermare quella straordinaria macchina da fama all’apogeo della sua visibilità, senza nemmeno rischiare di affrontare la parabola discendente che, prima o poi, ogni band conosce. I tre musicisti si dedicano ad altri progetti: Andy Summers incide un disco con Robert Fripp dei King Crimson, Stewart Copeland si dedica alla composizione di colonne sonore. Sting, invece, sembra sempre più attratto dal cinema: negli anni ha partecipato al film-documentario sui Sex Pistols, THE GREAT ROCK ’N’ ROLL SWINDLE, a QUADROPHENIA (l’opera rock degli Who), ha avuto un ruolo da protagonista in BRIMSTONE AND TREACLE e ha preso parte anche a una grande pellicola di David Lynch, DUNE.
Una nuova band per nuova musica
Ed è proprio in quella fase, calato nei panni dell’attore e immerso nelle classiche lunghe ore di attesa che, sul set, separano una scena dall’altra, che inizia a prendere vita THE DREAM OF THE BLUE TURTLES. Sting allestisce nel camerino una piccola postazione per suonare e registrare nuovo materiale. Materiale che, evidentemente, non è più musica dei Police. Scrive in una direzione nuova: libera dalla necessità di comporre pensando a un trio basso-chitarra-batteria, e libera dal rispetto delle coordinate stilistiche che hanno reso grande la sua band – i singhiozzi reggae, le impennate punk, le oasi pop sofisticate e oniriche della miglior new wave. Le sue nuove canzoni reclamano pianoforti, strumenti a fiato: sono un intreccio vivace e pulsante di jazz, blues, R&B, ispirazione classica, orchestrazioni sintetiche e tantissimo funk. Il tutto, naturalmente, reso coerente dallo stile inconfondibile e dalla sensibilità pop rock del songwriter che ha firmato alcuni dei brani più importanti del pop degli anni Ottanta: da “Roxanne” a “Walking On The Moon”, passando per “Message In A Bottle”. È la natura del nuovo materiale che spinge Sting a costruirsi una band diversa, cucita su misura per gestire quelle nuove idee così fresche, colte, eclettiche. Attrae musicisti dal mondo del jazz, del funk, della fusion – generi che, in quegli anni, vivono un momento di grande energia e rinnovamento grazie alla contaminazione con la pronuncia elettrica, quasi rock. In un gesto emblematico della voglia di voltare pagina, Sting decide di non suonare più il basso. Lui, che per perizia strumentale, abilità vocale e carisma compositivo era stato più volte accostato a Paul McCartney, affida il basso a Daryl Jones, musicista jazz, già nel giro di Miles Davis, uno degli idoli dichiarati di Sting. Alla batteria siederà Omar Hakim (Weather Report), alle tastiere Kenny Kirkland (dalla band di Wynton Marsalis) e, destinato a diventare il vero alter ego di Sting in questa sua nuova fase artistica, il giovanissimo e prodigioso Branford Marsalis al sax. È una band stupefacente, con Sting che si reinventa chitarrista – anche se chi conosce i Police sa bene quanto fosse già capace: l’iconico riff di “Message In A Bottle” è suo. Quella che nasce è una band impavida, che vuole mischiare il meglio della modernità della black music più raffinata con l’eleganza e la fruibilità del pop bianco e l'immediatezza del rock. Vuole sfruttare lo status da rockstar planetaria di Sting per portare al grande pubblico una miscela colta di jazz, richiami classici, funk e improvvisazione, il tutto suonato con leggerezza. Una band del genere, prima di affrontare lo studio, ha bisogno però di un battesimo del fuoco. E così, con pochissime prove (ma del resto sono tutti musicisti jazz cresciuti a pane e improvvisazione), Sting organizza un concerto al Ritz di New York. Un live secco, tra rivisitazioni stravolte dei classici dei Police e brani nuovi, che manda in delirio il pubblico. Gran parte della scaletta di questo concerto sarà poi immortalata e messa in bella copia nel memorabile live BRING ON THE NIGHT (1986), raccolta delle prime serate del tour promozionale di THE DREAM OF THE BLUE TURTLES, che sancirà ufficialmente l’inizio della carriera solista di Sting. Carriera che, da qui in avanti, lo vedrà brillare anche al di fuori dei Police e lo consacrerà tra le rockstar più grandi del pianeta.
"Enormi tartarughe blu distruggevano tutto"
Per le registrazioni del disco, Sting e la band – affiancati dal produttore Pete Smith – si spostano in uno studio alle Barbados. Nonostante il talento e la creatività in campo, le sessioni di THE DREAM OF THE BLUE TURTLES si rivelano più difficili del previsto. Sting si sente solo: i musicisti coinvolti, pur straordinari, sono intimoriti dalla sua fama e abituati a lavorare come session man, assecondando la visione del leader. Sting, invece, era abituato a baruffare: con i Police le decisioni sugli arrangiamenti erano battaglie vere e proprie, si scannavano su tutto. E, paradossalmente, proprio questa conflittualità deresponsabilizzava Sting: sapeva che la sensibilità di Copeland e Summers era il filtro ideale per dare valore alla sua scrittura. Ora, invece, era solo. E lui stesso racconterà l’ansia di quel periodo, descrivendola in un sogno simbolico: «Ho fatto uno strano sogno: c’erano delle enormi tartarughe blu che invadevano il mio cortile e distruggevano tutto quello che avevo coltivato». E da quel sogno, prende il nome l’album. Pubblicato il 17 giugno 1985, THE DREAM OF THE BLUE TURTLES atterra direttamente al numero 3 della UK Albums Chart e al numero 2 della US Billboard 200. Anche la critica lo accoglie a braccia aperte: ai Grammy del 1986 il disco ottiene candidature come Album of the Year, Best Male Pop Vocal Performance e Best Engineered Recording, mentre la traccia strumentale omonima punta al titolo di Best Jazz Instrumental Performance. Un biglietto da visita che certifica, fin dal debutto, la solidità del nuovo percorso solista di Sting.
Tre Canzoni
Ecco tre brani per avventurarsi tra i solchi di THE DREAM OF THE BLUE TURTLES, album che inaugura la nuova avventura artistica di Sting, perfetti per capire l'anima sfaccettata di questo disco e la straordinaria qualità e cura musicale e tecnica di questo lavoro.
“If You Love Somebody Set Them Free”
Con la sua anima funk elettronica e le venature jazz, il brano mostra uno Sting alle prese con un pop raffinatissimo e ballabile che tronca definitivamente i ponti con il sound dei Police. Spopola tra radio e piste da ballo, presentando un artista più maturo, elegante, disinvolto. Il titolo suona per molti come un addio amorevole ai Police: è proprio l’affetto per ciò che era stato, e la paura di rovinarlo, a spingere Sting verso una nuova avventura artistica.
“Love Is The Seventh Wave”
Una carezza rassicurante di Sting al pubblico e ai fan dei Police. Questo brano reggae, che richiama l’anima del trio, offre una continuità che conforta e accompagna nel cambiamento. Nella coda del pezzo, spunta anche una citazione di “Every Breath You Take”, come un filo sottile che lega il passato a un nuovo inizio.
“Russians”
Una perla colta e intensa che dimostra quanto lo scenario musicale a cui Sting ambisce sia ormai ben oltre i Police. Forse è il brano che più di ogni altro gli conferisce un’autorevolezza autonoma, lontana dal suo passato di band. “Russians” è un pezzo di forte impronta classica – la melodia si ispira alla Romanza della Suite Il, Luogotenente Kije di Sergey Prokofiev – e affronta la tensione tra USA e URSS negli anni ’80, con il timore costante di una guerra nucleare. Cupo, attuale, sofisticato.