09 maggio 2025

Buckethead: il chitarrista che ha spaventato Ozzy, confuso i RHCP e lasciato il segno nei Guns

Troppo eccentrico per Ozzy e i Red Hot, ma decisivo in Chinese Democracy dei Guns N' Roses: 5 cose da sapere sul genio mascherato più misterioso del rock.

Dietro una maschera bianca e un secchio di pollo fritto capovolto in testa, con su scritto “funeral”, si nasconde uno dei chitarristi più talentuosi, prolifici e al tempo stesso inquietanti della storia del rock. Nato il 13 maggio 1969, si fa chiamare Buckethead, ma la sua vera identità – Brian Carroll – è del tutto secondaria rispetto al personaggio che si è costruito: un incrocio tra Michael Myers di Halloween, uno spettro post-moderno e un alieno virtuoso della sei corde. 

Inarrestabile nella produzione – ha pubblicato centinaia di album – e dotato di una tecnica chitarristica devastante, ha saputo mescolare nei suoi lavori metal, shred, elettronica, funk, ambient e hip hop. Ma anche chi non ha mai sentito un suo disco lo conosce indirettamente, perché nel corso degli anni ha collaborato con nomi giganteschi come i Guns N’ Roses, Ozzy Osbourne, Primus, Serj Tankian dei System of a Down e incrociato persino i Red Hot Chili Peppers. Il problema? Era troppo strano perfino per loro. Ozzy disse che non riusciva a lavorare con “una persona che non parla e si nasconde dietro una maschera”. Un artista estremo, bizzarro e imprevedibile. Ma anche magnetico. E dannatamente bravo.

Buckethead: il chitarrista che ha spaventato Ozzy, confuso i RHCP e lasciato il segno nei Guns

Le origini e il personaggio

Buckethead proviene da quella generazione di chitarristi esplosa nella seconda metà degli anni ’80, quando la chitarra virtuosa – spesso contaminata dalla musica classica – vive un periodo di grande popolarità grazie a fenomeni come Eddie Van Halen, Randy Rhoads con Ozzy Osbourne e Yngwie Malmsteen. In quel contesto nasce una scena di chitarristi solisti che pubblicano album strumentali tra speed metal e progressive, spesso veri e propri pretesti per mostrare acrobazie tecniche e funambolismi musicali. Alcuni riescono ad approdare in grandi band – come Paul Gilbert nei Mr. Big, Ritchie Kotzen nei Poison o Marty Friedman nei Megadeth – ritagliandosi un posto stabile nel rock mainstream. Per molti altri, però, esaurito  l'entusiasmo, resta il confine nella nicchia della musica strumentale. Buckethead è contemporaneo a questa scena, ed è addirittura allievo di Paul Gilbert. Ma il suo stile e la sua attitudine non si adattano al virtuosismo glamour degli anni ’80: la sua musica è inquieta, strana, introversa. Bisogna attendere i ’90 – con l’arrivo del grunge, delle contaminazioni crossover tra rock, hip hop, elettronica e funk – perché la sua stranezza diventi finalmente un punto di forza. Nel frattempo, Buckethead ha costruito un personaggio mitologico e inquietante: maschera bianca ispirata all’assassino Michael Myers di Halloween, tuta da serial killer, secchiello di pollo fritto KFC in testa con la scritta “Funeral”. Racconta di aver avuto la folgorazione conciandosi così e guardandosi allo specchio dopo aver visto il film Halloween 4 del 1988. È il momento in cui decide di non mostrarsi mai più in pubblico senza costume, costruendo attorno a sé un alone di mistero e una mitologia horror: racconterà infatti, di essere cresciuto in un pollaio, isolato, deriso, infine fuggito appiccando il fuoco al suo stesso rifugio. Da lì, con una vera chitarra in mano, prende vita la carriera Buckethead.

 

5 cose da sapere su Buckethead

In bilico tra genio e follia, tra horror da videoteca anni ’80 e jam chitarristiche da alieno, Buckethead resta uno degli artisti più indecifrabili e affascinanti del panorama rock. Nonostante il suo talento strumentale immenso, ha sempre scelto l’ombra del personaggio piuttosto che la luce dei riflettori. Eppure, tra centinaia di album autoprodotti e collaborazioni con i giganti della musica, ha lasciato un segno potente e inconfondibile.  Per orientarsi in questo labirinto di stranezza e bravura, ecco 5 cose da sapere su uno dei chitarristi più bravi, bizzarri e incomprensibili della storia del rock.

1. Ha lasciato il segno nel disco più discusso dei Guns N’ Roses

Il solco più profondo che Buckethead ha inciso nella storia del rock mainstream resta senza dubbio il suo contributo a CHINESE DEMOCRACY (2008), il disco più controverso e travagliato dei Guns N’ Roses. Chitarrista principale della band tra il 2000 e il 2004, Buckethead ha registrato la gran parte delle chitarre dell’album, firmando assoli, riff e arrangiamenti che hanno dato una svolta moderna e spiazzante al sound del gruppo. È accreditato su quasi tutte le tracce dell’album (tranne “Catcher in the Rye” e “This I Love”) e ha lasciato un’impronta netta su brani come “Shackler’s Revenge”, “Sorry” e soprattutto “There Was a Time”, il cui assolo è stato definito uno dei più belli degli anni 2000. Durante le sessioni di registrazione, si racconta che suonasse in un piccolo “chicken coop” – una sorta di pollaio costruito in studio – per ispirarsi, confermando ancora una volta la sua vena surreale e imprevedibile. Nonostante abbia lasciato la band prima dell’uscita ufficiale dell’album, per comportamenti definiti imprevedibili e problemi comunicativi, il suo lavoro è rimasto intatto e viene tuttora riconosciuto. Axl Rose ha sempre sottolineato quanto si divertisse a suonare con lui, mentre persino Slash – tornato nei Guns anni dopo – ha dichiarato che su CHINESE DEMOCRACY, Buckethead suona in modo “dannatamente incredibile”.



2. Ha pubblicato più album di quanti tu possa ascoltarne in un anno

Buckethead è uno degli artisti più prolifici di sempre: ha pubblicato oltre 300 album solisti, molti dei quali all’interno della sua collana Pike – uscite autoprodotte, spesso interamente strumentali, in cui esplora liberamente ogni suggestione musicale. Dal metal ambientato in scenari post-apocalittici, a malinconiche ballate cinematiche, passando per funk robotico e soundtrack da incubo, i Pike sono finestre sulla sua mente: imprevedibili, mutevoli, a volte ipnotici, a volte disturbanti. La sua creatività è talmente fuori scala da rasentare il surreale: nel 2014, per esempio, ha pubblicato 31 dischi in 31 giorni per celebrare l’arrivo di Halloween. Una maratona discografica horror, fatta di suoni inquieti, riff spettrali ed esperimenti sonori che riflettono in pieno il suo immaginario da film di serie B.


3. MONSTERS AND ROBOTS è il suo disco da avere

Con una discografia sterminata come quella di Buckethead, orientarsi può sembrare impossibile. Ma se c’è un disco da cui partire, è senza dubbio MONSTERS AND ROBOTS  (1999): il suo capolavoro. Un mix esplosivo in cui Buckethead riesce a frullare Prince con Beck, il metal  con l’hip hop, i Prodigy con i film di Godzilla, spingendo il suo shred chitarristico fino al punto da far sembrare la sua chitarra un videogame andato in tilt. L’album è un omaggio delirante alla fantascienza giapponese, ai mostri, ai film horror di serie B e alle arti marziali. Un viaggio musicale grottesco e affascinante, reso ancora più potente da una formazione d’eccezione: Brain (Brian Mantia), batterista dallo stile potente e groovoso, già nei Primus; Bootsy Collins, icona del funk e storico bassista di James Brown e dei Parliament-Funkadelic, che qui presta la sua voce e il suo spirito surreale. E poi Les Claypool e Bill Laswell, per completare un cast da film cult.




4. Troppo eccentrico persino per Ozzy e i Red Hot Chili Peppers

La carriera di Buckethead è costellata di collaborazioni di altissimo profilo – come quella con Serj Tankian dei System of a Down, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo – ma anche di occasioni clamorosamente sfumate, non per mancanza di talento, bensì per eccesso… di eccentricità. Nel 2003, Ozzy Osbourne lo convocò per un’audizione. Gli chiese di presentarsi senza il famoso secchio in testa, ma Buckethead tornò con un cappello da marziano verde. Ozzy cercò di convincerlo a mostrarsi per quello che era, dicendogli: «Sii te stesso, ti chiamerò Brian». Ma la risposta fu spiazzante: «Solo mia madre mi chiama così». Ozzy, divertito ma disorientato, disse in seguito che temeva di non poter contare su un musicista tanto imprevedibile: “Immagina di chiamarlo per un concerto e sentirti dire: ‘Non posso, sono stato teletrasportato altrove’”. Anche i Red Hot Chili Peppers considerarono Buckethead come possibile chitarrista dopo l’uscita di John Frusciante nel 1992. All’audizione, lui ammise di non conoscere nemmeno un brano della band. Suonò comunque in modo strepitoso e concluse con i suoi soliti numeri di breakdance e mosse di arti marziali. I RHCP, pur applaudendolo entusiasti, capirono che inserirlo nel contesto di una band strutturata sarebbe stato semplicemente impossibile.




5. Vuoi sentirlo in una band? Ascolta i Praxis

Tra le mille incarnazioni musicali di Buckethead, i Praxis sono la più affascinante. Un collettivo avant-funk sperimentale guidato dal produttore visionario Bill Laswell – lo stesso che ha lavorato con i Public Image Ltd  – in cui Buckethead suona accanto a mostri sacri come Bootsy Collins e Brain. Il risultato è un laboratorio sonoro estremo, tra dub, metal, elettronica e funk cosmico. Avanguardia pura, ma con groove.